martedì 7 gennaio 2014

La parola Mestre



Ho recuperato il testo di una vecchia e mail del dicembre 2003 inviata agli amici di StoriAmestre in risposta ad una loro sollecitazione. Si trattava di dire quali pensieri e ricordi evocasse la parola Mestre. L'ho riletta per caso dopo un decennio e non mi è dispiaciuta, perciò la ripropongo.  Parla di un luogo, ma è anche storia operaia, o immagine di storia operaia. c.w.


Cari amici di StoriAmestre,

quando qualche giorno fa Piero e Luciana mi hanno parlato dell’iniziativa su Mestre del 18 dicembre, anch’io mi sono ritrovato a pensare quali immagini mi evocasse la parola Mestre. Avrei voluto partecipare all’incontro, ma purtroppo altri impegni me lo impediscono perciò ho pensato di scrivervi questa lettera.
Mestre, più ci penso e più mi rendo conto di quanto poco la conosco, quindi ho deciso di lasciarmi andare alle sensazioni ed ai ricordi che la parola mi ispira, alla maniera della écriture automatique surrealista, non so se quanto emerge vi aiuterà certo a far luce sulla vostra cittá o forse sarà soltanto l’idea di Mestre di un foresto dell’entroterra vicentino. Ma andiamo avanti.
La prima idea di Mestre è quella di una fermata ferroviaria. Un’ultima fermata prima di arrivare a Venezia. Una stazione grande, ma un posto dove non si scende, si prosegue. La meta è sempre la Venezia insulare e turistica dove passeggiare con gli amici e le amiche da adolescente. Si sa, i primi viaggi fuori dalla tutela dei genitori si ricordano sempre con piacere. Tuttavia per me Mestre è rimasta soltanto una stazione ferroviaria anche dopo. Quando, per esempio, quasi trentenne ho ripreso gli studi ed ho continuato ad andare a Venezia quasi sempre in treno senza mai scendere a Mestre.
Altre due parole sono associate a Mestre nel mio immaginario e sono: lotte ed inquinamento. Ricordo, avevo allora sedici o diciassette anni, che assistetti ad un concerto di Bertelli a Chiampo, un brutto paese nell’omonima valle vicentina, in cui Gualtiero venne a cantare le lotte degli operai di Porto Marghera, del petrolchimico e dei suoi tumori. Come per molti altri giovani militanti, le canzoni di Bertelli alimentarono in me un’immagine mitica di quegli operai capaci di lotte che dalle mie parti si erano viste solo quando venne occupata la Pellizzari - la grande fabbrica metalmeccanica dove lavorava mio padre – per scongiurarne la chiusura. Ma la ribellione operaia di Marghera ci giungeva più forte, più rivendicativa, più rivoluzionaria. Allo stesso tempo però avevo identificato Mestre con il suo polo industriale. Mestre, pensavo: “che posto orribile ed inquinato”; certo le lotte, i compagni, l’isola rossa in un Veneto bianco, ma che postaccio per vivere. Pensavo questo ed intanto crescevo in una delle valli più inquinate d’Italia, un posto in cui stavano nascendo concerie in tutti gli scantinati e le vecchie stalle e queste scaricavano quantità immense di veleni e porcherie senza alcun controllo. Un posto le cui acque dei fossi e delle rogge cambiavano di colore in funzione del colore di moda per le scarpe e pelletterie (non so quanti di voi abbiamo potuto vedere il fosso di fianco a casa di color verde pisello, viola ciclamino, rosso fuoco o giallo limone, beh quello vicino a casa mia poteva cambiar di colore anche più volte al giorno, come nei fumetti!!). Tutta quella merda poi proseguiva verso il mare adriatico inquinando ampie zone della bassa pianura veneta, eppure io pensavo: “che posto orribile ed inquinato deve essere Mestre con il suo petrolchimico ed i suoi tumori”. Cosa significa la forza evocativa delle canzoni! A ripensarci credo che la nostra sfortuna di valligiani sia stata la mancanza di un Bertelli nostrano che facesse conoscere al mondo quello che stava capitando e che avrebbe consentito a qualche mestrino di pensare: “che posto orribile la valle del Chiampo!”. Sapere che ci sono dei posti orribili ci consente di riconciliarci con il posto dove viviamo ancorché altrettanto orribile. Lo spazio conosciuto contrapposto all’ignoto. E’ sempre un po’ la storia della pagliuzza nell’occhio altrui e la trave nel proprio.
Un’altra immagine – più recente - che associo a Mestre è la tangenziale. Quando si va a Venezia in treno, le immagini di Mestre sono piuttosto limitate: una grande stazione, alcuni cavalcavia, ma appena il treno esce dalla stazione verso Venezia si intravede la laguna e sullo sfondo Porto Marghera. Altro è arrivare a Mestre in auto ed attraversarla con la tangenziale. Avete mai provato a pensare alla città vista dalla tangenziale? Per prima cosa si pensa a chi vive a ridosso della tangenziale, forse davvero costoro quando vanno in vacanza chiedono un hotel “vista tangenziale”, come recentemente ironizzava Claudio Bisio in una pubblicità. Forse ci si fa l’abitudine e forse qualcuno realmente può distrarsi contando le auto color grigio topo che passano in un’ora, ma vi giuro che non ho mai invidiato chi deve vivere accanto ad una tangenziale. E’ vero anche che le tangenziali ci sono dappertutto e non solo a Mestre, e che Mestre non è solo la tangenziale, ma non riesco a dissociare Mestre dalla sua tangenziale. Non è un’immagine positiva, evoca traffico, caos, stress ed ancora una volta inquinamento. Tant’è che ogni volta che devo venire a Mestre, se posso, evito di usare la macchina, perché ho paura di perdermi (cosa che capita puntualmente), di dover girare a vuoto, di cercare un parcheggio che non si trova mai. Insomma soffro di quelle ansie ed esprimo quegli stereotipi di cui si nutre ogni buon provinciale quando pensa alla metropoli.
Un’ultima immagine di Mestre sono le manifestazioni. Piazza Ferretto è sempre stata il punto di confluenza delle manifestazioni ed a qualcuna di esse ho partecipato nel corso degli anni (non molte per la verità, ma almeno due tre volte ci sono stato), ma soltanto due o tre anni fa sono capitato in Piazza Ferretto di sabato pomeriggio senza che ci fossero adunate in programma e per la prima volta l’ho osservata e mi è piaciuta. Era un pomeriggio di primavera, era piena di gente. C’erano crocchi di persone che chiaccheravano, m’è parsa bella, ma forse anche questo è uno stereotipo.

La mia idea di Mestre è come si è visto negativa e forse molto stereotipata, nonme nevogliano gli amici di Mestre, in futuro saranno obbligati a mostrarmi quelle parti di Mestre che mi faranno ricredere sulla Venezia di terraferma. Del resto nemmeno la Vicenza che mi ospita da ormai vent’anni è un paradiso. Anzi, mi pare che sia in atto una mestrificazione [nel senso della Mestre da me evocata] del territorio da Venezia a Verona ed oltre. Basta girare per alcune valli sperdute per notare come i capannoni, le villette singole e le villette a schiera non abbiano risparmiato posti impervi e apparentemente fuori dal mondo rendendoli anche più assurdi della mia Mestre immaginaria.

Un saluto,
w.

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