martedì 19 agosto 2014

L'Angelo della Storia (3). Bruno Arpaia e Walter Benjamin.





Working Class secolo XIX - XX - XXI



Sempre a proposito del concetto di storia di Walter Benjamin vorrei consigliare la lettura dei romanzi di Bruno Arpaia che ha subito senza alcun dubbio il fascino delle teorie del filosofo tedesco. Mi riferisco in particolar modo a tre romanzi che ho letto e riletto e che – nel mio piccolo – ho cercato di diffondere. I primi due sono Tempo perso (Marco Tropea 1997, poi Guanda 2003) e L’angelo della storia (Guanda 2001): le vicende del protagonista dei due romanzi – il giovane rivoluzionario Laureano - si svolgono rispettivamente durante la rivoluzione delle Asturie del 1934 e durante la guerra civile spagnola. In quest’ultimo Laureano incontrerà a Port Bou Walter Benjamin proprio alla vigilia della sua tragica fine.

L'altro suo libro che ho molto amato parla della nostra generazione ed il titolo è un altro manifesto di adesione al pensiero di Benjamin: Il passato davanti a noi (Guanda 2006).


  



mercoledì 13 agosto 2014

L'Angelo della Storia (2). David Bidussa e Walter Benjamin.





Working Class secolo XIX - XX - XXI


A proposito della IX Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, un articolo di David Bidussa.

Il mio interesse per l’Angelo della Storia di Walter Benjamin non è recente, sistemando le carte ho recuperato un articolo di David Bidussa pubblicato mercoledì 27 agosto 2003 da il Manifesto che avevo conservato e che ora ripropongo.


Walter Benjamin e il suo angelo. Uno sguardo all’indietro che non si presenta solo come nostalgia o ispirazione di un futuro possibile. Ripensare il nostro rapporto con la storia vuol dire anche riconsiderare, nel presente, quelle possibilità che nel passato sono state interrotte. Impossessarsene, trasformarle in atto politico. Le «Tesi di filosofia della storia» sono state pubblicate nel 1942, ma l’angelo di Benjamin continua a guardare indietro perché il passato non è passato e i suoi orrori possono nuovamente ripresentarsi.

David Bidussa: Uno sguardo senza nostalgia.

La IX delle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin (quella in cui egli accenna alla figura dell'angelo della storia e al suo guardare «indietro») è forse il luogo letterario e metaforico più visitato dalla critica e anche il testo che simbolicamente ha segnato la «scoperta» di Benjamin negli ultimi trent'anni.
Pubblicate per la prima volta nel 1942, solo a metà degli anni '70 le Tesi iniziano ad essere valutate come un testo normativo e non più solo «oscuro» o «intrigante». Sono Giulio Schiavoni, Fabrizio Desideri Franco Bella e Enzo Rutigliano (rispettivamente: Walter Benjamin. Sopravvivere alla cultura, Sellerio; Walter Benjamin il tempo e le forme, Editori riuniti; Il silenzio e le parole, Feltrinelli; Lo sguardo dell'angelo, Dedalo) ad aprire una nuova stagione della critica e a fare delle Tesi un testo esemplare del legame inquieto tra individuo e storia. Un tema su cui, da allora, molti sono tornati proprio riflettendo sulla figura dell'angelo, da Massimo Cacciari (L'angelo necessario, Adelphi) a Stéphane Moses (La storia e il suo angelo, Anabasi) a Michel Loewy (Redenzione e utopia, Bollati Boringhieri).
A monte di quel cambio di registro si colloca la crisi dello storicismo, la fine dell'idea che la storia sia uno «sgomitolamento lineare», la percezione nella sinistra che il materialismo storico non sia solo una filosofia della certezza proiettata verso l'avvenire.
Tuttavia anche così, la pregnanza delle sollecitazioni proposte nelle Tesi resta vaga, sospesa tra una metafora accattivante, in cui la crisi celebra se stessa come nuova metafisica della storia, e il rischio di una riscrittura complessiva di una filosofia della storia che per quanto critica alla fine fonda solo la retorica della sua enunciazione, ma si priva di una qualsiasi ipotesi di lettura critica.
Al centro di quelle pagine non risiede solo la Critica allo storicismo, ma anche l'analisi critica del ruolo dello storico e la confutazione di quel suo presunto oggettivismo indotto dall'uso acritico delle fonti e dei documenti a cui troppo spesso surrettiziamente si ritiene di riscrivere oggettivamente la storia, ovvero di scrivere la storia com' «è andata davvero». Perché l'angelo della storia guarda indietro?
Proviamo allora a riprendere in mano il testo della tesi IX e a sondarlo da un differente angolo prospettico (riprendo il testo da Walter Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di Gianfranco Bonola e Michele Banchetti, Einaudi 1997, che costituisce l'edizione critica più articolata e documentata del testo delle Tesi e da cui riprenderò più avanti anche le citazioni dai materiali preparatori per la loro stesura).
«C'è un quadro di Klee - scrive Benjamin – che si chiama Angelus novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi di qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi: destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l'angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che chiamiamo progresso, è questa bufera.»
Prevalentemente l'attenzione è stata rivolta al quadro di Klee, ai temi di carattere messianico o mistico o cabalistico, al rapporto tra visione messianica della redenzione e dimensione utopica della storia, alla visione antistoricistica della storia. Al centro si colloca l'immagine complessiva dell'angelo, l'accumulo delle macerie ai suoi piedi, la bufera, la visione della catastrofe. Tutti aspetti che in qualche modo hanno fatto convergere la riflessione di Benjamin con quella di Scholem, una riflessione che ha un tema comune e punti di divergenza.
li tema è la conciliazione tra attesa ed evento, tra investimento sul farsi della storia e delusione del suo accadere. Diversamente: tra risorse interiori e fattualità storica.
Una lettura della e sulla storia che entrambi riversano sulla storia e sul vissuto ebraico e che allude (al di là dell'esperienza ebraica nella storia) a una possibile interpretazione rinnovata del «vissuto mistico» e del vissuto utopico.
Per Scholem il problema è la possibilità che la trasgressione renda possibile in una condizione di catastrofe la redenzione e dunque l'inaugurazione di una qualche ipotesi messianica. Per Scholem guardare indietro significa cogliere il nesso tra catastrofe e redenzione e dunque permettere l'individuazione del principio di catastrofe come luogo generativo di una nuova identità (è questo in breve il nucleo fondativo di tutta la sua ricerca sul nichilismo religioso che egli disegna nel primo saggio dedicato a questo tema che costituisce il primo nucleo del Sabbatay Sevi, Einaudi, l'opera di una vita).
Per Benjamin, l'ipotesi della redenzione non produce automatismi o possibilità ché si originano dalla catastrofe ma nasce nella possibilità di guardare al presente attraverso le risorse sconfitte o bloccate da un passato che si propone come strumento, di replica. Il futuro non è dato, non è lineare né è sviluppo progressivo.
Lo sguardo indietro dell'angelo, così, richiama non solo il principio della catastrofe come macchina generativa, ma è proprio la dimensione della catastrofe ad avere altro valore e altro significato nell'ambito della sua riflessione.
L'angelo della storia si potrebbe dire è obbligatoriamente rivolto al passato, proprio perché per fondare futuro è necessario impossessarsi del passato. E' un dato meccanico ed entro certi aspetti anche scontato.
E tuttavia in questo volgersi indietro non risiede una domanda di sapere. Si guarda al passato - e dunque indietro - per impossessarsi del passato. E occorre possedere il passato per usarlo. «Lo storico è un profeta rivolto all'indietro», aveva scritto Benjamin nel 1917 (Walter Benjamin, Metafisica della gioventù, Einaudi).
E riprendendo le stesse parole nelle note preparatorie alle Tesi, prosegue: «Egli volta le spalle al proprio tempo; il suo sguardo di veggente si accende davanti alle vette degli eventi precedenti che svaniscono nel crepuscolo del passato. E' a questo sguardo di veggente che il proprio tempo è più chiaramente presente di quanto non lo sia ai contemporanei che «tengono» il passo con lui».
Una notazione che per certi aspetti allude a quanto Lucien Febvre aveva detto nel corso della sua lezione inaugurale al College de France («L'uomo non si ricorda del passato: lo ricostruisce. (...) Ma muove dal presente, e solo attraverso il presente, sempre, conosce, interpreta il passato» (L. Febvre, Problemi di metodo storico, Einaudi).
Ma questo primo livello apre verso una diversa lettura. Rievocando una sua radicata convinzione Benjamin scrive, a metà degli anni '30, nelle sue note su Parigi: «L'elemento distruttivo o critico della storiografia si esplica nello scardinare la continuità storica. La storiografia autentica non sceglie il suo oggetto a man leggera. Non lo afferra, lo estrae a forza dal decorso storico. Questo elemento distruttivo nella storiografia va concepito come reazione a una costellazione di pericoli che minacciano tanto il contenuto della tradizione quanto il suo destinatario. Contro questa costellazione di pericoli muove la storiografia: sta ad essa dar prova della sua presenza di spirito. In questa costellazione di pericoli l'immagine dialettica guizza fulmineamente. Tale immagine è identica all'oggetto storico; essa giustifica lo scardinamento del continuum». (Walter Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, Einaudi).
Lo sguardo indietro dell'angelo non si presenta solo come «nostalgia» o come ispirazione per un possibile futuro diverso - per un futuro anteriore -, ma come segno di un diverso modo di concepire la storia. Al centro del rapporto con la storia non sta un dato gnoseologico (ovvero «conoscere la storia»), ma connettere al presente le possibilità interrotte nel passato e riammetterle come strumenti per un futuro possibile. In questa seconda ipotesi conoscere la storia è «impossessarsi del passato», ovvero saperlo tradurre in atto politico. In questo senso riscattarlo.
Nel linguaggio di Benjamin l'espressione «impossessarsi del passato», implica una doppia operazione. La prima è quella che essenzialmente è rivolta alla riscoperta di una dimensione «dimenticata», «nascosta» o comunque «sopita» del passato. La storia in questo senso è anche una «contro-storia».
Ma «impossessarsi del passato» implica saper cogliere ciò che in questo presente si rende immediato, necessario e anche scardinante del possibile recupero di «quel passato». Non ciò che del passato è utilizzabile nel presente come «antidoto», ma ciò che nel passato si propone come oppositivo a questo presente.
Negli appunti per la stesura delle Tesi scrive Benjamin: «Non è che il passato getti la sua luce sul presente o che il presente getti la sua luce sul passato: l'immagine è piuttosto ciò in cui il passato viene a convergere con il presente in una costellazione. L'immagine del passato che balena nell'adesso della sua conoscibilità - ovvero di un passato che non è morto - è, secondo le sue determinazioni ulteriori, un'immagine del ricordo. Assomiglia alle immagini del proprio passato che si presentano alla mente degli uomini nell'attimo del pericolo. Queste immagini, come si sa, vengono involontariamente. La storia, in senso rigoroso, è dunque un'immagine che viene dalla rammemorazione involontaria, un'immagine che s'impone improvvisamente al soggetto della storia nell'attimo del pericolo.»
Tuttavia nel processo di rammemorazione non sta tanto una dimensione salvifica del ricordo, quanto una possibile contromossa. La rammemorazione - e dunque la riemersione da una precedente condizione di oblio – non implica la riattivazione di un ricordo e dunque non richiama la funzione della memoria. Si fonda su un processo attivo, non rievocativo. La rammemorazione si accredita perciò come la fonte da cui proviene la storia.
Guardare indietro implica, così, ritrovare quelle circostanze che permettono di recuperare ciò che si è interrotto nella storia, e dunque di rimetterlo tra le cose che consentono un diverso sviluppo del presente e dunque una chance di diverso futuro.
«Marx - scrive Benjamin negli appunti per la stesura delle Tesi - dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d'emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno». La rivoluzione, cosi, è contemporaneamente la rottura del continuum storico e la sua possibile inversione. In altre parole le rivoluzioni sono l'interruzione del processo lineare della storia, o meglio il non-momento della storia.
Ma questo significato non è proprio solo della «rivoluzione», ovvero del processo di rovesciamento di potere, evento straordinario che interviene sulla linearità temporale inaugurando un «nuovo tempo». Più generalmente esso allude a qualsiasi gesto - o a un insieme di atti -che renda impossibile la ripetizione e la prosecuzione nel tempo indefinito di un sistema dato di potere e di oppressione.
Aspetto che impone un diverso approccio -o almeno un approccio maggiormente articolato - intorno alla riflessione sui «giusti» (certamente più problematico di quanto non sia stato proposto da Todorov nel corso degli anni '90; per tutti si veda Tentazione del bene, tentazioni del male, Garzanti).
Si potrebbe osservare più generalmente come tutta la riflessione concernente i «giusti», ovvero la possibilità che in condizione di oppressione totalitaria si dia replica e risposta diversa da quella statuita e prevista dal sistema sia collocabile all'interno di questa riflessione. Un gesto che è reso possibile dal fatto di evocare e proporre un diverso modo di spiegare e fondare il presente.
In questo senso il concetto di «giusto» o di «banalità del bene» se colto come «sguardo indietro» dell'angelo della storia ha un valore non riducibile a quello etico o caritativo con cui di solito si è pronti ad accogliere quell'atto. In altre parole, quell'atto è tale in relazione all'effetto di «blocco del processo lineare», di pietra d'inciampo dentro il carattere lineare del farsi della storia che si accredita come l'alleato «naturale» degli oppressori.
Ma all'interno di questa vicenda non risiede solo la contingenza dell'atto o la sua imperscrutabilità. «L'omaggio di una cipollina», ovvero privarsi di un qualcosa di completamente superfluo, non è sufficiente perché possa prodursi un gesto altruistico, comunque rovesciato rispetto alla norma vigente. Lo sguardo indietro dell'angelo dunque suggerisce ancora una cosa diversa. Dice che solo dal ricordo dell'oppressione e delle umiliazioni vissute e provate nel passato, si può produrre una forza capace di invertire o rovesciare la logica imperativa del presente. In altre parole, l'angelo della storia guarda indietro - e si rivolge al passato - perché il passato non è passato, perché tutti gli orrori del passato che possiamo anche ritenere lontani e superati, comunque collocati dietro di noi, hanno sempre la possibilità dì ripresentarsi.
Lo sguardo indietro dell'angelo costituisce, allora, un possibile principio per una diversa dimensione della convinzione e della retorica politica. Nella lotta politica, la forza, la capacità persuasiva, sono state riconosciute nel mito politico, nella capacità di proiezione sul futuro e nella prefigurazione di scenari armonici di radiosi domani. Forse la pratica di quello sguardo indietro - per quanto spesso intesa come rifondazione del mito politico utopico - andrà colta come capacità operativa e riflessiva della memoria, ovvero come la possibilità che si mediti sul passato per evitare una sua ripetizione.
In questo conto con la storia, in questo «corpo a corpo» col passato, tuttavia, viene a decadere una funzione che tradizionalmente le grandi collettività nazionali e i gruppi comunitari hanno affidato alla storia come fissazione di un calendario civile e come narrazione della propria origine.
La funzione assegnata alla storia a partire dalla costruzione dei grandi sistemi nazionali è stata quella di fondare il criterio di identità. Ovvero ad essa è stato affidato il compito di definire l'essenza di sé. In breve la costruzione del kit simboli e gesti per rispondere alla domanda «Chi sono?» Riconsiderare il passato non in relazione a ciò che si è o in relazione a una metafisica dell'identità ma in funzione a ciò che si è fatto, implica scegliere la storia come luogo in cui non si aderisce a una formula, ma si rimedita su ciò che è accaduto e si agisce per un esito diverso non garantito da alcuna metafisica, né automatico.
Non c'è alcun futuro salvifico nella riflessione sulla storia e sul passato, ma solo la possibilità di inventare e- trovare nuove vie per non uscire nuovamente sconfitti. Lo sguardo al passato senza nostalgia alla fine allude a questa possibilità.