lunedì 28 dicembre 2015

L'Angelo della Storia (4). Roberto Solmi e Walter Benjamin



Working Class secolo XIX - XX - XXI 






A proposito di Walter Benjamin.

Riprendo qui un articolo di Luca Lenzini pubblicato da Il Manifesto nel marzo 2015 per ricordare la recente  scomparsa di Renato Solmi, l'intellettuale che ha fatto conoscere in Italia l'opera di Walter Benjamin. Riprendere lo studio del concetto di storia di Benjamin vuol dire anche conoscere più a fondo l'opera degli studiosi del suo pensiero e l'opera di Solmi è un passaggio necessario che dovrò affrontare.

Renato Solmi, l'elegante stile critico che si fa militanza di Luca Lenzini, Il Manifesto, 26/03/2015

Addii. La scomparsa di Renato Solmi. Traduttore di Beniamin e Adorno, lavorò per anni a Einaudo. Il lungo sodalizio con Fortini e Ranchetti.

Nella Prefazione a Autobiografia documentaria, il volume che raccoglie i suoi scritti di oltre mezzo secolo (Quodlibet, 2007), così scriveva Renato Solmi: «Ho più che mai l’impressione (…) che questo libro, che è, se così si può dire, un sommario dettagliato della mia vita, sia tutto rivolto verso il passato, e non posso fare a meno di temere che essa sia destinata a prevalere su qualsiasi altra agli occhi degli esponenti della nuova generazione che si battono con tanto ardore e con tanta fermezza sulla linea più avanzata del fronte che separa il passato dal futuro, o, se si preferisce, la salvezza dalla catastrofe». Ma a chi abbia presenti le ottocento e passa pagine del libro, l’impressione dell’autore risulta infondata, anzi fuorviante: perché, al contrario, la lezione dell’Autobiografia di Solmi — scomparso ieri — era ed è quella di un pensatore la cui bussola è stata sempre orientata verso ciò che, nel presente, si schiude a nuovi sviluppi, al di fuori di schemi dottrinari o teleologici. E già il sommario dell’antologia del 2007 dispiegava in piena luce l’amplissimo orizzonte entro cui si è mossa, con straordinaria mobilità intellettuale, la riflessione di Solmi: dai primi lavori su Jaeger, Snell, Cassirer, De Martino degli anni Cinquanta, ai contributi su «Discussioni», la rivista realizzata con Insolera, Amodio, Ranchetti, Fortini, i Guiducci, tra il ’49 e il ’53, agli interventi del redattore Einaudi nel periodo più fecondo della casa editrice, fino a quelli su «Quaderni Piacentini», i pezzi sulla scuola e sui movimenti degli anni ’60/’70, sul pacifismo.

A partire da quei testi si può bene intendere come l’opera di Solmi non sia in alcun modo classificabile come quella di uno «specialista», anche se sul terreno volta a volta affrontato, dalla filosofia in senso stretto alla storia della cultura, dall’antropologia alla sociologia, la storia o la critica letteraria, pochi specialisti – oggi meno che mai — ne sarebbero all’altezza. Il carattere militante, e perciò critico, del pensiero di Solmi, ostile per natura ai dogmi e agli shematismi, è il filo che ne tiene saldamente insieme l’opera, e non meno caratteristico è il suo stile intellettuale, tanto più garbato, raziocinante e talvolta persino cerimonioso nell’argomentare i suoi dissensi, quanto più si rivela radicale e indocile alle pretese della doxa, fosse pure quella della parte politica per cui si è sempre schierato, con preveggente impegno pacifista e altrettanto rigore morale.

Tutto questo, mentre spiega la sua emarginazione rispetto ai sentieri della cultura ufficiale, sia dei partiti sia accademica, pone la sua opera esattamente, per usare le sue parole, «sulla linea più avanzata del fronte che separa il passato dal futuro». Ed è di una tale lezione, nel nostro tempo di filosofi da festival e microspecialisti, segnato dal conformismo (non meno tale per vestirsi di provocazione modaiola o da lezione di disincanto), che c’è bisogno, ora che lui ci ha lasciato. Chi saprà misurarsi con i saggi introduttivi all’opera di Adorno o Benjamin, scritti tra il 1953 ed il ’59, potrà rendersi conto di quali calibrate rimozioni è capace la cultura del nostro paese: quel che è stato rimosso, beninteso, non sono Adorno o Benjamin, che anzi sono stati ampiamente pubblicati e fatti oggetto persino (non senza ambiguità) di culto, ma la prospettiva e lo spessore di storia e cultura entro cui un lettore come Solmi si poneva: quella di una traduzione nel senso più vero (incluso, ovviamente, il più letterale, in cui eccelleva), capace ogni volta di fare i conti con la società che si andava sviluppando nelle tumultuose ondate di quella «modernizzazione», le cui contraddizioni ed i cui limiti si sono poi rivelati tragicamente nel corso degli anni seguenti, e ancora oggi scontiamo.

C’è un testo del 1985 in cui rammentando l’autunno del ’68, Solmi annotava: «Ricordo una mattina, in tram – e non era un’esperienza unica o eccezionale in quei giorni, — gli studenti e le studentesse che andavano a scuola, e che si raccontavano reciprocamente quel che era accaduto nelle rispettive scuole e in quei giorni, con un’immediatezza, una spontaneità, come se tutte le barriere fossero cadute: c’era un’esperienza comune di cui si poteva parlare». Proseguiva poi, con un rilievo consonante con le osservazioni di De Certeau sulla «presa della parola»: «Non è durato molto, forse, nel senso che ben presto si sono aggiunti anche altri elementi che hanno alterato o adulterato la purezza originaria del movimento. Questa purezza si manifestava, fra l’altro nella lingua, nel linguaggio, nel modo di esprimersi e di comunicare degli studenti». Lo ricordiamo così, mentre guarda ai giovani e a quanto è in movimento; e con i versi che gli dedicò Franco Fortini, che portano un’altra data cruciale, quella del 1956 (Ventesimo Congresso): «Una mattina di febbraio/ grigio gentile ghiaccio/ nello sventolio/ delle edicole, balzo e riso,/ delizioso fulmine, le mani gli occhi dell’amico/ convulso, con l’articolo/ mangiato dal vento: Il vento/ — diceva ridendo fra i denti –/ il vento della storia, che ci precipita!»

mercoledì 16 dicembre 2015

L'ultimo arrivato

La storia d'Italia del secondo Novecento nel romanzo L'ultimo arrivato di Marco Balzano (Sellerio, 2014)



Stefano domenica scorsa mi ha detto: "Ti ho portato un libro che mi è piaciuto molto e che credo toccherà le corde a cui sei sensibile" e mi ha messo in mano L'ultimo arrivato di Marco Balzano.
Aveva ragione, l'ho letto con urgenza tralasciando le altre letture in corso nei ritagli di tempo che il lavoro mi concede. 
Ha ragione perché è una scrittura molto bella e perché il libro tocca le mie corde, il mio interesse per quel mondo del lavoro, della fabbrica, degli ultimi in cui affondano la mie radici. Il libro racconta una storia terribile di emigrazione minorile che (come spiega molto bene nella nota) non è quella dei molti, moltissimi casi di ragazzi che hanno vissuto l'emigrazione con la propria famiglia, esperienza dura, a volte durissima, ma quella dell'emigrazione di ragazzi fra i 9 ed i 13 anni senza la famiglia al seguito di parenti o semplici conoscenti dei propri famigliari. 
Ragazzi che dovevano subito cominciare a lavorare - ovviamente in nero  e ovviamente pagati poco - per sopravvivere. Non è la storia di Germinale di Zola e nemmeno la storia dei miei genitori  che avevano quell'età negli anni Trenta, bensì di un ragazzo siciliano nato nel 1950 (anno di nascita di mia sorella) che nel 1959 (il mio anno di nascita) emigra  a Milano assieme al vicino di casa. 
Il libro racconta  la storia di Ninetto, della sua infanzia rubata e dei suoi primi anni a Milano, alternandola al presente quando il protagonista ormai anziano sta lasciando il carcere dove ha scontato una pena  di dieci anni per una colpa terribile che si svelerà lentamente lungo il racconto. Sullo sfondo di questa confessione, quasi solo di riflesso, ma in realtà molto presente, c'è la trasformazione della società italiana dagli anni Cinquanta ai giorni nostri, dal secondo dopoguerra al miracolo economico, dagli anni Sessanta alla deindustrializzazione  in atto. Un affresco estremamente efficace che  come pochi ha saputo tratteggiare il vissuto delle nostre generazioni, ancor più sorprendente se pensiamo che è scritto da una persona nata nel 1978. Un  grande scrittore ed un libro che consiglio a tutti.

mercoledì 11 novembre 2015

In memoria del prof. Luciano Gallino








E' da molti mesi che non aggiungo nuovi post. Gli eventi di quest'anno, l'evoluzione della crisi greca, ma anche altri eventi tristissimi sui quali tornerò in argomento prossimamente mi hanno ridotto al silenzio. A motivare una nuova pubblicazione è un altro triste evento, la morte del prof. Luciano Gallino, una delle poche menti lucide ancora capaci di criticare la deriva neoliberista della società e di fornire articolati strumenti per intraprendere un cammino verso una società più giusta. Voce avversa ai potenti e poco ascoltata dai molti, ma utile, utilissimo antidoto contro la stoltezza attuale. Mi fermo qui e mi associo alle parole del caro amico e compagno Pietro Fazio scritte in ricordo del prof. Gallino. C.W. 



GRAZIE PROF. GALLINO
Voglio ringraziare pubblicamente il Prof. Luciano Gallino per tutto quello che mi hanno dato i suoi libri, per l'analisi acuta e importante del neo-liberalismo (così come lui lo ha chiamato nei suoi scritti) e per gli strumenti formidabili e unici che ha fornito con le sue opere alla politica. Gallino ha fatto ciò che avrebbero dovuto fare "gli intellettuali" che in un modo o nell'altro, si sono proposti di guidare la sinistra, Gallino ha fatto ciò che avrebbero dovuto fare e non hanno saputo fare i Bertinotti , i Vendola, i Fava, i Ferrero, i Guido Viale e i Marco Revelli e tutta la gamma di generali senza esercito prodotti in questi quarant'anni dalla cosiddetta sinistra alternativa : ci ha dato strumenti concettuali concreti per capire i meccanismi di funzionamento del nostro attuale sistema economico. Gallino ha messo alla portata di tutti, e non solo degli esperti, tutto ciò che è importante e fondamentale capire. Ha svelato i retroscena oscuri del capitalismo, ne ha colto l'assurdità attuale e la fragilità costante ed irrimediabile. Ci si domanda, mentre si facevano le regole di Maastricht e mentre avvenivano questi cataclismatici avvenimenti tra gli anni novanta e il duemila, perchè non c'era questo al centro della politica della sinistra alternativa? Bisognava aspettare la crisi per capire ciò che stava accadendo? Gallino ci ha dimostrato, in modo esemplare e con una ricerca rigorosa supportata da una bibliografia imponente ed esaustiva, che fin dall'inizio le regole poste dai governanti europei erano ispirate dai desiderata di Goldman Sach's e in generale, dalla finanza europea ed USA, ci ha mostrato come i politici, della destra e della sinistra ufficiale siano stati intimamente complici e a loro volta propulsori di questi interessi e di questa visione dell'economia e del mondo. Gallino non ha assolto Prodi, Amato, Veltroni, Clinton, e Mitterrand, dalla loro subalterna politica agli interessi della finanza, dalla demolizione delle regole Rooseveltiane e dall'aver liberato da ogni controllo il cane rabbioso del capitalismo finanziario con tutti i catastrofici danni che esso continua a perpetrare. Non li ha assolti dalla responsabilità di aver contribuito al dilagare del predominio culturale del pensiero neoliberi sta in tutte le società del cosiddetto occidente. La sinistra, quella europea rappresentata dalla socialdemocrazia e in Italia, ora, dal caudillo Renzi, si mostra in tutta la sua miseria intellettuale, penosamente chiusa dentro l'ottica distorta e ideologicamente fondamentalista del pensiero unico liberista. Una sinistra che ha perso il suo DNA, incapace di pensiero autonomo e supina ai diktat della grande finanza impersonato ora dalla Signora Merkel, dalla BCE, dall'Ocse o dal Fondo Monetario, quando non sia direttamente Goldman Sach's a battere i pugni sul tavolo. Una "sinistra" che esegue gli ordini e che si adopera per portare nei parlamenti un cambiamento epocale delle costituzioni antifasciste perchè troppo redistributive della ricchezza ed eccessivamente democratiche. Gallino, descrivendo ed analizzando il mostro del finanz-capitalismo, ha svelato la miseria e la complicità di questa sinistra. Gallino con chiarezza inequivocabile ci ha mostrato che se avevamo fatto il tifo per Mitterand in Francia, per Clinton in Usa, per Prodi o Veltroni in Italia, ci siamo proprio sbagliati. Luciano Gallino, come Carlo Marx, ha analizzato e capito la società del suo tempo e questo lavoro faticoso e meticoloso è ciò che egli lascia a tutti noi: un formidabile strumento per continuare la nostra lotta per un mondo migliore. Se ancora pensiamo sia possibile è perchè sono esistite persone come il prof Luciano Gallino.
Pietro Fazio

domenica 25 gennaio 2015

Bella Ciao - Modena City Ramblers



Η ελπίδα νίκησε! (La speranza ha vinto!). Questo è il commento di Syriza al risultato elettorale del 25 gennaio. E' un sentimento che condivido e che ho visto in migliaia di volti rigati dalle lacrime ma con il sorriso sulle labbra; che ho visto nei balli al suono di Bella Ciao nelle piazze di Atene; che ho sentito nelle parole di Alexis Tsipras che commenta la vittoria. 
La speranza che l'indignazione e la rabbia del popolo greco l'abbiano vinta su coloro che da anni stanno cancellando i diritti più elementari: il cibo, le cure mediche, la scuola. La speranza che la forza che nasce dall'indignazione si affermi anche in Spagna; che dopo Syriza sia la volta di Podemos e Guanyem Barcelona. La speranza infine che il contagio dell'indignazione tocchi anche le sponde della nostra penisola e cancelli le forze neo liberiste come ha fatto in Grecia e sta avvenendo in Spagna e possa finalmente nascere un nuovo soggetto capace di riprendere il canto che in questi giorni correva per tutte le piazze greche. Ascoltiamo Bella Ciao augurandoci che diventi il canto di una nuova Europa libera e democratica!