domenica 1 giugno 2025

Ridare voce ad una partigiana: La scelta di Flora.

L'articolo qui riproposto è stato pubblicato il 19/05/2025 sul sito di storiAmestre in vista della presentazione del libro di Brigida Randon fatta il 28 maggio 2025 con la presenza dell'autrice, della storica Maria Teresa Sega e dei famigliari di Flora Cocco. 


A 80 anni dalla Liberazione dal regime nazifascista, per dar voce a una protagonista della Resistenza poi dimenticata, storiAmestre organizza la presentazione del libro di Brigida Randon: La scelta di Flora. Vita di Flora Cocco, la partigiana “Lea”. L’incontro avverrà mercoledì 28 maggio 2025 alle 17,30, presso la Libreria Coop, Piazza Ferretto, 66 Mestre (VE). L’autrice ne parlerà con la storica Maria Teresa Sega, presidente dell’Associazione per la memoria e la storia delle donne in Veneto: rEsistenze. Introdurrà e coordinerà l’incontro il nostro socio Walter Cocco, che ci ha inviato la sua introduzione per illuminare su questa storia.

di Walter Cocco

La caduta del fascismo il 25 luglio 1943 venne salutata con grande entusiasmo da una popolazione stremata dalla guerra e oramai avversa al regime che aveva trascinato il Paese nel conflitto. Nei pochi giorni che separarono la fine del fascismo dalla comunicazione dell’armistizio furono in molti ad assaporare l’aria di libertà e, pur nell’incertezza della situazione, a sperare ad un’uscita dal conflitto. Quello che accadde l’8 settembre è noto a tutti. Il governo Badoglio e la corona – dopo aver reso pubblico l’armistizio – fuggirono dalla capitale e ripararono a Brindisi sotto la protezione dell’esercito alleato lasciando nel caos l’esercito e il Paese. Questo favorì – di fatto – la rapida occupazione di buona parte del territorio da parte delle truppe tedesche che ebbero gioco facile su un esercito allo sbando. L’instaurazione della Repubblica di Salò nell’Italia settentrionale, un governo fantoccio sottoposto alle direttive del Reich e la massiccia presenza militare tedesca furono ben presto percepite dalla maggior parte della popolazione come un’occupazione ostile. Sete di libertà e avversione verso l’esercito di occupazione fecero lievitare in molte persone il sentimento antifascista e in questo clima proliferarono le reti di resistenza nei centri urbani e nelle campagne. Si formarono così anche i primi gruppi di partigiani disposti a prendere in mano le armi contro i nazi-fascisti ed essi trovarono rifugio nelle valli e nelle montagne. 

Nel territorio vicentino le formazioni partigiane si insediarono su tutti i rilievi: dal Grappa, all’Altopiano di Asiago, dalle alte valli dell’Astico e del Leogra, a quelle più occidentali dell’Agno e del Chiampo verso la Lessinia veronese. Allo stesso modo, a partire dalla primavera del 1944, l’esercito tedesco trasferì il proprio comando a Recoaro, nell’alta valle dell’Agno, per mantenere aperta la via di fuga verso nord, verso l’OZAVi, il territorio “de facto” annesso alla Germania nazista. L’alto vicentino era un territorio strategico e per questo teatro di vasti rastrellamenti da parte delle truppe nazi-fasciste che portarono a violenti scontri con le formazioni partigiane e a durissime rappresaglie nei confronti della popolazione civile. È in questo territorio che si svolge la storia che proponiamo con la presentazione del libro La scelta di Flora scritto da Brigida Randon.  

Negli ultimi anni la storiografia ha gettato nuova luce sul ruolo delle donne nella Resistenza e questo grazie soprattutto al lavoro di alcune ricercatrici, basti pensare agli importanti scritti di Maria Teresa Sega o di Sonia Residori soltanto per restare nella nostra regione. Su questo filone si inserisce senza dubbio il lavoro di Brigida Randon, La scelta di Flora, che racconta la storia di Flora Cocco, la partigiana “Lea”; una donna che ebbe un ruolo tutt’altro che secondario durante la Resistenza nella valle dell’Agno per finire poi nell’oblio nel dopoguerra a causa della malattia che la colpì. Come ricorda Adriana Chemello, l’autrice con questo libro “ha restituito valore e ridato senso alla vita di Flora Cocco, facendola ritornare dalla dimenticanza in cui era caduta, riportandola in vita e restituendole la sua voce. Ridare voce ad una donna che è stata oscurata è un’operazione di svelamento, di restituzione di visibilità che ha per le donne una forte valenza politica.ii

Brigida aveva sentito parlare di Flora da sua madre che ne era quasi coetanea e viveva nella stessa contrada di Brogliano, un paese sulla dorsale destra del torrente Agno, nell’omonima valle. Inoltre il fratello della madre, Bovo Lucato, era amico di Giovanni Cocco, il fratello di Flora. Entrambi i ragazzi fecero la scelta partigiana e caddero nella lotta a pochi mesi di distanza. Qualche anno fa, forse – come dice lei – per assolvere un debito filiale verso la madre, l’autrice aveva ricostruito le vicende che avevano portato alla morte dello zio Bovoiii ed aveva così acquisito una profonda conoscenza della letteratura resistenziale e degli archivi territoriali della Resistenza, in particolare quello della Brigata garibaldina Nino Stella. La pubblicazione di quel lavoro fece sì che un’amica dell’Anpi la spronasse a restituire alla memoria pubblica la storia di Flora Cocco.

Brigida in postfazione riporta il diario che dà conto della gestazione del testo, delle letture e delle riflessioni che ne precedono la scrittura. In esso l’autrice si interroga su come possa essere stato vissuto il rientro nei ranghi dopo la stagione del protagonismo animato dalla speranza di un futuro diverso. Su come – dopo essersi messi in gioco mettendo a repentaglio la propria vita e pagando quella scelta con sofferenze, sevizie e carcere – il dopoguerra abbia spesso riservato ai resistenti cocenti delusioni. Specie se gli aguzzini di un tempo tornano presto liberi e ad essere emarginati sono coloro che li hanno combattuti che rimangono senza il lavoro. Ecco così che il rientro nei ranghi per alcuni significa dover emigrare per cercare un lavoro che a casa propria viene negato, mentre per altri la delusione per la piega che sta prendendo la società italiana induce alla scelta meneghelliana del dispatrio. Per le donne che avevano scelto di entrare nella Resistenza il dopoguerra è stato anche peggio, perché veniva loro richiesto di tornare a chiudersi fra le mura domestiche rinunciando a qualsiasi ruolo nella società, anche ai ruoli nel mondo del lavoro faticosamente conquistati, come fu per Flora. A chiedere alle donne di fare un passo indietro è tutta la società, pure i propri compagni di lotta e le proprie famiglie: anche questo è stato un modo per sminuire il loro apporto alla guerra di Liberazione. L’autrice riflette poi sul parallelismo fra la ribellione delle resistenti e la ribellione femminista delle loro figlie negli anni Settanta: se per le prime il ritorno a casa è stato imposto dalle difficili condizioni economiche e sociali del dopoguerra, per le seconde il riflusso, il ritorno al privato, ha significato doversi poi misurare con l’attuale tentativo delle destre di cancellare le riforme “progressiste/paritarie” conquistate negli anni Settanta.

Brigida inizia il racconto partendo da due documenti d’archivio: le lettere che Flora scrisse il 23 e il 26 settembre 1944 a Catoneiv, commissario politico della Brigata Stella, con le quali chiede esplicitamente di entrare nelle file della Resistenza per proseguire il lavoro iniziato dal fratello morto due settimane prima. Giovanni Cocco, il partigiano “Leo”, era stato ucciso il 9 settembre 1944 durante il rastrellamento della dorsale che divide la valle dell’Agno da quella del Chiampo e Flora volle entrare nella Resistenza con lo stesso nome di battaglia: “Lea”. 

A partire da lì Brigida, attraverso frammenti, piccole tessere, testimonianze sparsev, ricostruisce la vita di Flora, il travagliato percorso di studi – destino comune per chi in quegli anni era dotato di capacità intellettuali e di studio ma mancava di risorse economiche per seguire corsi regolari – che la porterà a laurearsi in lettere nell’immediato dopoguerra. Gli intensi periodi di studio intervallati dal tempo dedicato al lavoro per aiutare in famiglia, i momenti di scoramento e l’invito ad un reciproco sostegno traspaiono dalla corrispondenza con l’amica Stellantonia Castellan, un’altra studentessa broglianese che viveva le medesime difficoltà. A rendere tutto più difficile è l’entrata in guerra, ma sarà a partire dalla caduta del fascismo e dalle vicende che seguirono l’8 settembre 1943 che la vita di Flora cambiò drammaticamente. Brigida ricostruisce la breve ma intensa attività resistente di Flora che, tradita da una spia fascista, il 29 novembre 1944 venne arrestata, torturata a Valdagno e poi trasferita nelle carceri di Vicenza dalle quali uscirà soltanto con la Liberazione del capoluogo. Nel maggio 1945, prima dello scioglimento delle formazioni partigiane, venne costituito il Battaglione femminile “Amelia” della Brigata garibaldina Stella e Flora ne venne nominata comandante con il grado di Tenente.

A guerra finita Flora conclude gli studi universitarivi e riprende ad insegnare; nel contempo sostiene moralmente il fidanzato e futuro marito Giovanni Priante tornato prostrato dalla prigionia in Germania. Lo sprona a concludere gli studi universitari in chimica e lo aiuta nella ricerca di un lavoro. Nel 1949 si sposano e poco dopo si trasferiscono a Pisa, dove Giovanni viene assunto come dirigente nel locale stabilimento della Marzotto. Il nuovo ambiente tuttavia si rivelerà carico di difficoltà: Flora deve rinunciare all’insegnamento perché veniva data priorità agli uomini nell’assegnare le cattedre. Dopo la nascita dei tre figli, comincia a soffrire di crisi depressive che la portano a frequenti ricoveri in ospedale psichiatrico e viene sottoposta alle cure che a quel tempo venivano applicate in questi casi. Nonostante il marito e la famiglia si siano sempre presi cura di Flora, la sua sofferenza durerà almeno fino alla fine degli anni Settanta, quando recupera un po’ di serenità. Il lungo percorso di sofferenza terrà Flora lontana dalla vita pubblica tanto che i figli, come loro stessi ricordano nella bella prefazione al testo, cominciarono a scoprire chi fosse stata la loro madre nel giorno del suo funerale. Essi trovarono la chiesa del paese, da dove Flora mancava da molti anni, gremita di persone, di bandiere italiane e di ex partigiani venuti ad onorare la combattentevii

Il pregio del lavoro di Brigida è stato di saper ricostruire una biografia a partire da pochi documenti disponibili, cercando nuove tracce, nuove testimonianze. Quando formula delle ipotesi sono frutto di un rigoroso lavoro di confronto e verifica delle fonti e lo fa – ricordando ancora una volta le parole di Adriana Chemello – sapendo rispettare “i suoi sentimenti, i suoi valori, le sue sofferenze, i suoi dolori. Il tutto senza invadere, con il pudore e il rispetto dovuti all’intimità di un’altra”viii. La sensibilità ed il suo tatto nell’indagare merita pienamente le parole di riconoscenza con le quali i figli di Flora Cocco concludono la loro prefazione: “Così è nato questo libro che racconta molto di più di quanto si sapesse prima. Non possiamo che ringraziare Brigida per questa sua fatica e la sua empatia con chi non ha neppure conosciuto”ix.

NOTE

i OZAV, acronimo di Operationszone Alpenvorland, il territorio annesso “de facto” alla Germania nazista comprendente le province italiane di Belluno, Bolzano e Trento. Cfr. Wikipedia: Ozav

ii Chemello A., Cosa ne è stato di Lea, dopo?, Letterate Magazine, 19/06/2024

iii Randon B., Bovo Lucato “Riccardo”, Anpi Brogliano e Valdagno, 2017

iv Nome di battaglia di Alfredo Rigodanzo, commissario politico della brigata Stella

v Chemello A., Cosa ne è stato di Lea, dopo?… cit.

vi Flora si laurea presso l’ateneo patavino il 18 novembre 1946

vii Priante R., G. e F., Nostra madre prima che fosse nostra madre, prefazione in Randon B., La scelta di Flora, cit.

viii Chemello A., Cosa ne è stato di Lea, dopo?… cit.

ix Priante R., G. e F., Nostra madre prima che… cit


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