domenica 1 giugno 2025

Ridare voce ad una partigiana: La scelta di Flora.

L'articolo qui riproposto è stato pubblicato il 19/05/2025 sul sito di storiAmestre in vista della presentazione del libro di Brigida Randon fatta il 28 maggio 2025 con la presenza dell'autrice, della storica Maria Teresa Sega e dei famigliari di Flora Cocco. 


A 80 anni dalla Liberazione dal regime nazifascista, per dar voce a una protagonista della Resistenza poi dimenticata, storiAmestre organizza la presentazione del libro di Brigida Randon: La scelta di Flora. Vita di Flora Cocco, la partigiana “Lea”. L’incontro avverrà mercoledì 28 maggio 2025 alle 17,30, presso la Libreria Coop, Piazza Ferretto, 66 Mestre (VE). L’autrice ne parlerà con la storica Maria Teresa Sega, presidente dell’Associazione per la memoria e la storia delle donne in Veneto: rEsistenze. Introdurrà e coordinerà l’incontro il nostro socio Walter Cocco, che ci ha inviato la sua introduzione per illuminare su questa storia.

di Walter Cocco

La caduta del fascismo il 25 luglio 1943 venne salutata con grande entusiasmo da una popolazione stremata dalla guerra e oramai avversa al regime che aveva trascinato il Paese nel conflitto. Nei pochi giorni che separarono la fine del fascismo dalla comunicazione dell’armistizio furono in molti ad assaporare l’aria di libertà e, pur nell’incertezza della situazione, a sperare ad un’uscita dal conflitto. Quello che accadde l’8 settembre è noto a tutti. Il governo Badoglio e la corona – dopo aver reso pubblico l’armistizio – fuggirono dalla capitale e ripararono a Brindisi sotto la protezione dell’esercito alleato lasciando nel caos l’esercito e il Paese. Questo favorì – di fatto – la rapida occupazione di buona parte del territorio da parte delle truppe tedesche che ebbero gioco facile su un esercito allo sbando. L’instaurazione della Repubblica di Salò nell’Italia settentrionale, un governo fantoccio sottoposto alle direttive del Reich e la massiccia presenza militare tedesca furono ben presto percepite dalla maggior parte della popolazione come un’occupazione ostile. Sete di libertà e avversione verso l’esercito di occupazione fecero lievitare in molte persone il sentimento antifascista e in questo clima proliferarono le reti di resistenza nei centri urbani e nelle campagne. Si formarono così anche i primi gruppi di partigiani disposti a prendere in mano le armi contro i nazi-fascisti ed essi trovarono rifugio nelle valli e nelle montagne. 

Nel territorio vicentino le formazioni partigiane si insediarono su tutti i rilievi: dal Grappa, all’Altopiano di Asiago, dalle alte valli dell’Astico e del Leogra, a quelle più occidentali dell’Agno e del Chiampo verso la Lessinia veronese. Allo stesso modo, a partire dalla primavera del 1944, l’esercito tedesco trasferì il proprio comando a Recoaro, nell’alta valle dell’Agno, per mantenere aperta la via di fuga verso nord, verso l’OZAVi, il territorio “de facto” annesso alla Germania nazista. L’alto vicentino era un territorio strategico e per questo teatro di vasti rastrellamenti da parte delle truppe nazi-fasciste che portarono a violenti scontri con le formazioni partigiane e a durissime rappresaglie nei confronti della popolazione civile. È in questo territorio che si svolge la storia che proponiamo con la presentazione del libro La scelta di Flora scritto da Brigida Randon.  

Negli ultimi anni la storiografia ha gettato nuova luce sul ruolo delle donne nella Resistenza e questo grazie soprattutto al lavoro di alcune ricercatrici, basti pensare agli importanti scritti di Maria Teresa Sega o di Sonia Residori soltanto per restare nella nostra regione. Su questo filone si inserisce senza dubbio il lavoro di Brigida Randon, La scelta di Flora, che racconta la storia di Flora Cocco, la partigiana “Lea”; una donna che ebbe un ruolo tutt’altro che secondario durante la Resistenza nella valle dell’Agno per finire poi nell’oblio nel dopoguerra a causa della malattia che la colpì. Come ricorda Adriana Chemello, l’autrice con questo libro “ha restituito valore e ridato senso alla vita di Flora Cocco, facendola ritornare dalla dimenticanza in cui era caduta, riportandola in vita e restituendole la sua voce. Ridare voce ad una donna che è stata oscurata è un’operazione di svelamento, di restituzione di visibilità che ha per le donne una forte valenza politica.ii

Brigida aveva sentito parlare di Flora da sua madre che ne era quasi coetanea e viveva nella stessa contrada di Brogliano, un paese sulla dorsale destra del torrente Agno, nell’omonima valle. Inoltre il fratello della madre, Bovo Lucato, era amico di Giovanni Cocco, il fratello di Flora. Entrambi i ragazzi fecero la scelta partigiana e caddero nella lotta a pochi mesi di distanza. Qualche anno fa, forse – come dice lei – per assolvere un debito filiale verso la madre, l’autrice aveva ricostruito le vicende che avevano portato alla morte dello zio Bovoiii ed aveva così acquisito una profonda conoscenza della letteratura resistenziale e degli archivi territoriali della Resistenza, in particolare quello della Brigata garibaldina Nino Stella. La pubblicazione di quel lavoro fece sì che un’amica dell’Anpi la spronasse a restituire alla memoria pubblica la storia di Flora Cocco.

Brigida in postfazione riporta il diario che dà conto della gestazione del testo, delle letture e delle riflessioni che ne precedono la scrittura. In esso l’autrice si interroga su come possa essere stato vissuto il rientro nei ranghi dopo la stagione del protagonismo animato dalla speranza di un futuro diverso. Su come – dopo essersi messi in gioco mettendo a repentaglio la propria vita e pagando quella scelta con sofferenze, sevizie e carcere – il dopoguerra abbia spesso riservato ai resistenti cocenti delusioni. Specie se gli aguzzini di un tempo tornano presto liberi e ad essere emarginati sono coloro che li hanno combattuti che rimangono senza il lavoro. Ecco così che il rientro nei ranghi per alcuni significa dover emigrare per cercare un lavoro che a casa propria viene negato, mentre per altri la delusione per la piega che sta prendendo la società italiana induce alla scelta meneghelliana del dispatrio. Per le donne che avevano scelto di entrare nella Resistenza il dopoguerra è stato anche peggio, perché veniva loro richiesto di tornare a chiudersi fra le mura domestiche rinunciando a qualsiasi ruolo nella società, anche ai ruoli nel mondo del lavoro faticosamente conquistati, come fu per Flora. A chiedere alle donne di fare un passo indietro è tutta la società, pure i propri compagni di lotta e le proprie famiglie: anche questo è stato un modo per sminuire il loro apporto alla guerra di Liberazione. L’autrice riflette poi sul parallelismo fra la ribellione delle resistenti e la ribellione femminista delle loro figlie negli anni Settanta: se per le prime il ritorno a casa è stato imposto dalle difficili condizioni economiche e sociali del dopoguerra, per le seconde il riflusso, il ritorno al privato, ha significato doversi poi misurare con l’attuale tentativo delle destre di cancellare le riforme “progressiste/paritarie” conquistate negli anni Settanta.

Brigida inizia il racconto partendo da due documenti d’archivio: le lettere che Flora scrisse il 23 e il 26 settembre 1944 a Catoneiv, commissario politico della Brigata Stella, con le quali chiede esplicitamente di entrare nelle file della Resistenza per proseguire il lavoro iniziato dal fratello morto due settimane prima. Giovanni Cocco, il partigiano “Leo”, era stato ucciso il 9 settembre 1944 durante il rastrellamento della dorsale che divide la valle dell’Agno da quella del Chiampo e Flora volle entrare nella Resistenza con lo stesso nome di battaglia: “Lea”. 

A partire da lì Brigida, attraverso frammenti, piccole tessere, testimonianze sparsev, ricostruisce la vita di Flora, il travagliato percorso di studi – destino comune per chi in quegli anni era dotato di capacità intellettuali e di studio ma mancava di risorse economiche per seguire corsi regolari – che la porterà a laurearsi in lettere nell’immediato dopoguerra. Gli intensi periodi di studio intervallati dal tempo dedicato al lavoro per aiutare in famiglia, i momenti di scoramento e l’invito ad un reciproco sostegno traspaiono dalla corrispondenza con l’amica Stellantonia Castellan, un’altra studentessa broglianese che viveva le medesime difficoltà. A rendere tutto più difficile è l’entrata in guerra, ma sarà a partire dalla caduta del fascismo e dalle vicende che seguirono l’8 settembre 1943 che la vita di Flora cambiò drammaticamente. Brigida ricostruisce la breve ma intensa attività resistente di Flora che, tradita da una spia fascista, il 29 novembre 1944 venne arrestata, torturata a Valdagno e poi trasferita nelle carceri di Vicenza dalle quali uscirà soltanto con la Liberazione del capoluogo. Nel maggio 1945, prima dello scioglimento delle formazioni partigiane, venne costituito il Battaglione femminile “Amelia” della Brigata garibaldina Stella e Flora ne venne nominata comandante con il grado di Tenente.

A guerra finita Flora conclude gli studi universitarivi e riprende ad insegnare; nel contempo sostiene moralmente il fidanzato e futuro marito Giovanni Priante tornato prostrato dalla prigionia in Germania. Lo sprona a concludere gli studi universitari in chimica e lo aiuta nella ricerca di un lavoro. Nel 1949 si sposano e poco dopo si trasferiscono a Pisa, dove Giovanni viene assunto come dirigente nel locale stabilimento della Marzotto. Il nuovo ambiente tuttavia si rivelerà carico di difficoltà: Flora deve rinunciare all’insegnamento perché veniva data priorità agli uomini nell’assegnare le cattedre. Dopo la nascita dei tre figli, comincia a soffrire di crisi depressive che la portano a frequenti ricoveri in ospedale psichiatrico e viene sottoposta alle cure che a quel tempo venivano applicate in questi casi. Nonostante il marito e la famiglia si siano sempre presi cura di Flora, la sua sofferenza durerà almeno fino alla fine degli anni Settanta, quando recupera un po’ di serenità. Il lungo percorso di sofferenza terrà Flora lontana dalla vita pubblica tanto che i figli, come loro stessi ricordano nella bella prefazione al testo, cominciarono a scoprire chi fosse stata la loro madre nel giorno del suo funerale. Essi trovarono la chiesa del paese, da dove Flora mancava da molti anni, gremita di persone, di bandiere italiane e di ex partigiani venuti ad onorare la combattentevii

Il pregio del lavoro di Brigida è stato di saper ricostruire una biografia a partire da pochi documenti disponibili, cercando nuove tracce, nuove testimonianze. Quando formula delle ipotesi sono frutto di un rigoroso lavoro di confronto e verifica delle fonti e lo fa – ricordando ancora una volta le parole di Adriana Chemello – sapendo rispettare “i suoi sentimenti, i suoi valori, le sue sofferenze, i suoi dolori. Il tutto senza invadere, con il pudore e il rispetto dovuti all’intimità di un’altra”viii. La sensibilità ed il suo tatto nell’indagare merita pienamente le parole di riconoscenza con le quali i figli di Flora Cocco concludono la loro prefazione: “Così è nato questo libro che racconta molto di più di quanto si sapesse prima. Non possiamo che ringraziare Brigida per questa sua fatica e la sua empatia con chi non ha neppure conosciuto”ix.

NOTE

i OZAV, acronimo di Operationszone Alpenvorland, il territorio annesso “de facto” alla Germania nazista comprendente le province italiane di Belluno, Bolzano e Trento. Cfr. Wikipedia: Ozav

ii Chemello A., Cosa ne è stato di Lea, dopo?, Letterate Magazine, 19/06/2024

iii Randon B., Bovo Lucato “Riccardo”, Anpi Brogliano e Valdagno, 2017

iv Nome di battaglia di Alfredo Rigodanzo, commissario politico della brigata Stella

v Chemello A., Cosa ne è stato di Lea, dopo?… cit.

vi Flora si laurea presso l’ateneo patavino il 18 novembre 1946

vii Priante R., G. e F., Nostra madre prima che fosse nostra madre, prefazione in Randon B., La scelta di Flora, cit.

viii Chemello A., Cosa ne è stato di Lea, dopo?… cit.

ix Priante R., G. e F., Nostra madre prima che… cit


Dis-moi qui tu hantes, je te dirai qui tu es: la Pellizzari attraverso i suoi organi sociali nel periodo 1945 – 1960

 
Ripropongo il testo integrale (ma senza immagini) dell'articolo pubblicato il 22/01/2025 sul sito di storiAmestre.

Da molti anni stiamo assistendo ad aziende, controllate dai grandi gruppi stranieri, che aprono e chiudono stabilimenti in Italia con la sola logica del risparmio sui costi: si produce qui fino a quando conviene, se si trovano altrove condizioni migliori si delocalizza. Pensiamo ad aziende con una lunga storia come Alcoa, Whirlpool, Gkn, Timken. E’ interessante quindi confrontare questi metodi d’impresa col testo di Walter Cocco che pubblichiamo e che parla degli organi sociali delle Officine Pellizzari di Arzignano tra il 1945 e il 1960, composti dalla famiglia proprietaria e da persone legate al territorio.

 

L’antico adagio francese citato nel titolo, in italiano trova il suo corrispettivo in “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” ed è seguendo lo spirito di questo detto popolare che un po’ di tempo fa, nel corso di un lavoro di rivisitazione della storia delle Officine Pellizzari di Arzignano attraverso i bilanci socialii, mi è parso utile indagare sulle persone che, a diverso titolo, hanno avuto un ruolo negli organi di amministrazione e di controllo della società. Ovviamente all’interno del Consiglio di Amministrazione (di seguito C.d.A.) vi è la presenza costante dei Pellizzari, la famiglia proprietaria, ma conoscere gli altri soggetti che hanno fatto parte del C.d.A. o del Collegio Sindacale può far luce sulle relazioni fra i Pellizzari ed il milieu economico e sociale in cui operavano. Non sempre ho avuto la fortuna di trovare informazioni sui nominativi nei documenti consultati o nelle ricerche in rete, nella maggior parte dei casi si tratta di professionisti che hanno vissuto ed operato in un tempo oramai lontano. Spesso la loro attività non ha varcato l’ambito professionale e non sono saliti agli onori della cronaca; perciò risulta difficile trovare qualche traccia, ma – come vedremo – qualche sorpresa c’è stata. Fra i componenti gli organi sociali vi sono poi alcune figure che – come vedremo – rimangono a lungo a conferma di un rapporto fiduciario solido con l’azienda e la famiglia proprietaria, altri invece che sono fugaci meteore. 

Gli organi sociali obbligatori, in una società per azioni, sono l’organo amministrativo (di norma l’amministratore unico o il consiglio di amministrazione, se collegiale) e il collegio sindacale: essi vengono eletti periodicamente dall’assemblea dei soci. L’organo amministrativo è preposto alla gestione dell’attività sociale; esso è spesso composto dai soci stessi oppure da manager che riscuotono la fiducia dei soci o della maggioranza di essi. Il collegio sindacale è l’organo di controllo della società; esso è formato da professionisti: ragionieri, dottori commercialisti e revisori contabili che hanno l’obbligo di vigilare sulla gestione e la corretta tenuta dei registri contabili della società a salvaguardia degli interessi dei soci non amministratori e dei terzi. Il collegio sindacale è composto, di norma, da tre sindaci effettivi fra i quali si sceglie il Presidente e due sindaci supplenti.

 

La nascita della A. Pellizzari e Figli società per azioni

L’atto costitutivo della società per azioni venne redatto dal Notaio Dr. Pietro Cassina il 18 aprile 1945 a Milano in Via Verdi 3, presso lo studio dell’avvocato Valentiii; erano presenti, oltre al notaio, il cav. Giacomo Pellizzari, l’avv. Angelo Valenti e il Dr. Gino Rogai. Questo avveniva pochi giorni prima dell’insurrezione dichiarata dal C.L.N. il 25 aprile, ma già in un clima di fine regime caratterizzato dall’arrivo di reparti fascisti e tedeschi in ritirata dalle zone già liberate e dagli scontri con le unità partigiane e gappiste operanti in città. Ad influenzare la decisione di Giacomo Pellizzari di costituire una società di capitali con sede a Milano per l’officina vicentina fu sicuramente il fatto che la città meneghina era diventata sin dall’autunno del 1943 il suo domicilio abituale. Egli vi si era trasferito per sfuggire ad eventuali rappresaglie dopo che il figlio Antonio era ricercato dalla polizia della R.S.I. perché renitente alla levaiii. Antonio aveva collaborato con la Resistenza e poi si era rifugiato in Svizzera per non arruolarsi nell’esercito repubblichino. Non era infrequente che la polizia fascista attuasse delle ritorsioni nei confronti dei famigliari dei renitenti anche se, in questo caso, si trattava di un industriale molto in vista. Giacomo aveva lasciato la gestione ordinaria della fabbrica nelle mani del suo braccio destro, il direttore commerciale Riccardo Masiero e del genero Arnaldo Minuti, ma rimaneva in costante contatto con loro per condividerne le scelte. Oltre a ciò, sicuramente influì nella decisione anche l’idea che mantenere una sede nella capitale economica dell’Italia industriale potesse favorire le relazioni commerciali e finanziarie dell’azienda. Infine non è improbabile che a caldeggiare il passaggio da ditta individuale a società per azioni fosse stata la più importante banca finanziatrice della Pellizzari: la Banca Commerciale Italiana. Non è un caso credo che presenziasse alla costituzione il Dr. Gino Rogai, alto funzionario dell’istituto di Piazza Scalaiv. La dimensione aziendale raggiunta dalle officine Pellizzari e, di conseguenza, il maggior fabbisogno finanziario sono le ragioni che possono aver spinto la banca a favorire la separazione del patrimonio aziendale da quello personale del proprietario; in questo modo la gestione aziendale sarebbe inoltre stata sottoposta ai controlli di un collegio sindacale, come previsto dalle norme societarie. Il capitale della A. Pellizzari e figli S.p.A. venne stabilito in Lire 15.000.000 suddiviso in quindicimila azioni del valore nominale di Lire 1.000 e, per ovviare i rischi di una società uninominale (in capo cioè ad un unico soggetto), le azioni furono così sottoscritte: 1 azione da Angelo Valenti, 1 azione da Gino Rogai e 14.998 da Giacomo Pellizzari che fece attraverso il conferimento delle officine arzignanesi. In quella sede Giacomo Pellizzari, il vero parón della società, venne nominato Amministratore Unico ed il collegio sindacale fu così composto: Presidente il Dr. Piero Finetti, l’Avv. Angelo Valenti e il Dr. Gino Rogai sindaci effettivi; sindaci supplenti il Rag. Sergio Dalle Mole e il Dr. Cavalloni Luigi. 

Esaminiamo i componenti di questi primi organi sociali. Su Giacomo Pellizzari non indugio molto, la bibliografia sulla sua persona e sull’azienda è piuttosto vastav. Pur non essendo stato il fondatore dell’azienda, è a lui che si deve la trasformazione della piccola officina del padre in grande industria elettromeccanica. Se, come ricorda Roverato, “l’età del decollo industriale coincise in Italia con l’avvento dell’energia elettricavi”, Giacomo Pellizzari fu il pioniere e l’interprete di questo decollo avviando la produzione industriale di macchine ed impianti che sfruttavano l’energia elettrica in tutte le sue declinazioni. Individuo volitivo e di grande capacità tecnica aveva una incrollabile fede sul progresso tecnico e sui positivi effetti sociali dello sviluppo industriale. Il successo industriale portò Giacomo a ricoprire vari incarichi pubblici ed ottenere diversi riconoscimenti: fu nominato cavaliere del lavoro e conferita la laurea h.c. in ingegneria elettrotecnicavii.

L’avvocato Valenti era il legale a cui Giacomo si era rivolto per costituire la società e rimase legato a Giacomo Pellizzari fino alla sua scomparsa e anche oltreviii. Nel corso degli anni egli verrà frequentemente chiamato a fungere da segretario dell’assemblea dei sociix. Alla costituzione della società ricoprì la carica di sindaco effettivo nel primo collegio sindacale, carica che mantenne per un breve tempo perché, poco tempo dopo, sarà sostituito da un altro membro della sua famiglia e del suo studio legale, l’avvocato Ugo Valentix. Non sono riuscito a trovare molte notizie su Angelo Valenti; ma si tratta sicuramente dello stesso avvocato siciliano filantropo e fondatore dell’associazione famiglia agirina, nata allo scopo di aiutare l’inserimento sociale degli emigrati siculi in terra lombarda. L’avvocato Valenti, come si può leggere nella nota biografica pubblicata nel sito dell’associazione, nel 1920 è migrato da Agira in Sicilia verso la Lombardia e qui “trascorrquasi tuttla sua vita a Milano e nell’hinterlandricopre cariche importantiriceve molti onori partecipa allfondazione di Istituti bancari e fabbriche. Nello stesso tempo compie continui viaggi all’estero legati alla sua professione, in quanto specializzato in Diritto Marinaro”xi

Gino Rogai era condirettore addetto alla Direzione Centrale della Comit, come indicato nell’atto costitutivo, sottoscrisse anch’egli una azione della società e fu nominato sindaco effettivo nel primo collegio sindacalexii. Come già accennato, il coinvolgimento diretto di un funzionario Comit nella costituzione della società dà l’idea dello stretto legame fra Pellizzari e la principale banca finanziatrice. Infine, il collegio sindacale fu presieduto sin dal primo esercizio e fino al 1956 dal Dr. Piero Finetti, un professionista milanese che resterà sindaco effettivo della società anche successivamente a tale data, fino al cambio di proprietà del 1961. A parte la sua costante presenza nell’organo di controllo non abbiamo trovato altre informazioni. A completare l’organo di controllo vi erano i due sindaci supplenti: il dr. Luigi Cavalloni, di cui non vi è alcuna notizia, ma che non apparirà più nei documenti successivi ed il rag. Sergio Dalle Mole, che presto troveremo come sindaco effettivo e la cui presenza sarà una costante nel collegio sindacale della Pellizzari per lungo tempo. Si tratta di un noto commercialista vicentino consulente di molte società del territorio. Poiché lo stabilimento principale e la sede amministrativa della Pellizzari erano ad Arzignano, probabilmente gravava sul suo studio il peso maggiore dell’attività di verifica dei conti dell’azienda. Dalle Mole è stato anche consigliere comunale e capogruppo del P.L.I. di Vicenza negli anni Sessanta e Settanta, e Mario Giulianatixiii, altro protagonista della vita politica vicentina, lo descrive come “un signore, un po’ tarchiato, non di alta statura, un po’ claudicante, sempre vestito di scuro, dallo sguardo severo […] Sergio Dalle Mole mi rammenta un tempo in cui era obbligo andare in Consiglio Comunale come si andava in Chiesa. Vestiti in modo ordinato, parlando in modo chiaro e con grande rispetto di tutti, amici o avversari, e soprattutto delle Istituzioni. Un mondo che mi sembra quasi del tutto scomparsoxiv”.

 

Fine del dominio nazi-fascista e ritorno ad Arzignano

Pochi giorni dopo la nascita della società per azioni, come sappiamo, l’intero territorio dell’Italia settentrionale fu liberato dall’occupazione tedesca e cadde il regime mussoliniano. I Comitati di Liberazione Nazionale che riunivano i rappresentanti di tutti i partiti antifascisti presero il controllo civile e militare del territorio e a capo delle fabbriche nominarono delle commissioni incaricate di dare continuità alla produzione industriale finchè non venissero esaminate le compromissioni con il passato regime degli imprenditori e dei dirigenti. Questo avvenne anche alla Pellizzari dove la gestione commissariale venne affidata ad un comitato formato da Riccardo Masiero (commissario) braccio destro di Giacomo Pellizzari, il Dr. Paolo Ferrari (vice commissario), il prof. Ing. Giovanni Someda (direttore tecnico) dell’Università di Padova, l’Ing. Arnaldo Minuti (direttore amministrativo) dirigente e genero di Giacomoxv, e gli operai Leopoldo Faggiana, Giorgio Rosa e Umberto Marzottoxvi. Si trattò in realtà di un periodo brevissimo, fra maggio e giugno come ricorda Giacomo Minutixvii, perché le vicende personali sue e del figlio Antonio, nonché gli aiuti che Giacomo non mancò di fornire alle famiglie dei deportati fugarono qualsiasi accusa di collaborazionismo ed egli potè rientrare molto presto ad Arzignano e riprendere il controllo dell’azienda con il plauso di tutti.

Non sappiamo in quale occasione furono rinnovati gli organi sociali, ma probabilmente poco dopo la riconsegna dello stabilimento nelle mani dell’industriale da parte della commissione istituita dal C.L.N., l’organo amministrativo passò da un amministratore unico ad un consiglio di amministrazione e vi fu qualche variazione nella composizione del collegio sindacalexviii. Pur rientrando in possesso dell’azienda senza problemi, forse su indicazione del figlio Antonio, si volle dare un segnale di continuità con la gestione commissariale cooptando alcuni dei suoi membri nel C.d.A. Così nell’assemblea che delibera l’aumento del capitale sociale del 14 dicembre 1947 il C.d.A. risulta così composto: Giacomo Pellizzari (presidente), Antonio Pellizzari (vice presidente), Giordano Temoloxix, Giuseppe Zanato (consigliere), Dr. Paolo Ferrari (consigliere), Ing. Arnaldo Minuti (consigliere), Leopoldo Faggiana (consigliere). È presente inoltre il Collegio Sindacale con il Dr. Piero Finetti (presidente), il rag. Sergio Dalle Mole (sindaco effettivo) e Giovanni Bruni (sindaco effettivo)xx. Il nuovo organo amministrativo, oltre a Giacomo, vede altri due membri della famiglia: il figlio Antonio a cui viene affidata la vice presidenza ed il genero Arnaldo Minuti. 

Per Antonio Pellizzari rinviamo alla nutrita letteratura esistente sulla sua figuraxxi, ricordiamo soltanto che, unico figlio maschio di Giacomo, è predestinato a succedergli ed il padre cerca presto di coinvolgerlo nell’attività di famiglia. Antonio, al di là dei titoli accademici, ha una solida formazione culturale che gli permette di spaziare nei diversi campi dell’espressione artistica: dalla letteratura, all’arte contemporanea, alle arti applicate, al cinema e in particolare alla musica. Il suo spessore intellettuale e la profondità delle sue riflessioni si riflettono nei suoi scritti apparsi nella rivista de La scuola di Arzignano che egli fonderà nei primi anni Cinquanta, o nell’intervento presso l’Università Ca’ Foscari sui Rapporti fra arte e pubblicità del 4 marzo 1952xxiio ancora nel suo intervento al terzo congresso nazionale dell’Unione Italiana della Cultura Popolare tenutosi a Bari il 7 – 9 aprile 1955xxiii. Antonio si avvicinò alla Resistenza e era convinto che la repubblica doveva portare nella società quelle istanze di giustizia che avevano spinto a rompere con il regime fascista. Egli era un ammiratore di Adriano Olivetti e la sua Scuola di Arzignano fu un tentativo di far accedere le classi popolari alla cultura, all’arte e alla musica. 

Arnaldo Minuti, nelle parole del figlio Giacomo è: “l’abile e generoso, affabile e premuroso manager che nel 1941 Giacomo aveva ‘soffiato’ alla concorrente Ercole Marelli e divenuto, poi, suo generoxxiv”; ingegnere e marito di Teresita Pellizzari, come abbiamo visto aveva già assunto la direzione amministrativa nel periodo commissariale dopo la Liberazione, successivamente ricoprì diversi incarichi all’interno dell’azienda fino a quello di Direttore Generale a partire dai primi anni Cinquanta. 

Attorno al nucleo famigliare di amministratori troviamo alcuni consiglieri: il Dr. Paolo Ferrari, Giordano Temolo, Leopoldo Faggiana e Giuseppe Zanato. Su quest’ultimo non abbiamo alcuna notizia, mentre i primi tre risultano legati al P.C.I. arzignanese. Il Ferrari, già nominato vice commissario dal C.L.N. di fabbrica, nel dopoguerra è a capo dell’Ufficio Personale; il tecnico Giordano Temolo è fratello di Libero Temolo, operaio comunista alla Pirelli di Milano ucciso dai fascisti in Piazza Loreto nel 1944, infine Faggiana, operaio meccanico, aveva anch’egli fatto parte della commissione eletta dal C.L.N. in quota comunista. Il periodico democristiano Il momento vicentino attacca frequentemente i consiglieri comunisti della Pellizzari, riportiamo qui un passo nel quale descrive – non senza acredine – i tre consiglieri:

“Qualche altra pennellata sull’uomo Ferrari. […] Il suo ufficio di capo del personale era una vera centrale. La giornata si apriva al mattino con una immancabile serie di ‘rapporti’ all’uso non dimenticato del fascismo. Alle 8 circa, appena arrivato da Vicenza, il Ferrari riceveva per primi i fratelli Temolo, Bruno capo della Commissione Interna per merito del fratello Giordano, unico vero cervello del Partito Comunista in Arzignano, pezzo grosso dopo il Ferrari o assieme con lui. Pare che fra i due galli nel pollaio non corresse gran sangue, ma si trattavano con ipocrita cortesia […] Seguiva poi il rapporto del comitato di agitazione, poi altri commissari e commissarie, spesso anche il responsabile della Camera del Lavoro di Arzignano, il semi-analfabeta Faggiana, che veniva per farsi fare le lettere, i proclami, gli ordinixxv

Il testo è evidentemente frutto del virulento scontro ideologico del momento ed è stato scritto, o quantomeno ispirato, da una gola profonda che lavorava in azienda. Del resto il blocco politico e sociale (o perlomeno la sua anima più reazionaria) raccolto intorno alla Democrazia Cristiana che era maggioritario nel territorio arzignanese, mal sopportava la forte presenza socialcomunista fra i lavoratori della grande fabbrica che riteneva avessero troppa libertà di movimento garantita da Antonio Pellizzari e dal cav. Riccardo Masiero che, in occasione delle prime libere elezioni municipali si presentarono, anche se come indipendenti, nella lista del Fronte Repubblicano del Lavoro in aperta opposizione alla lista democristianaxxvi.

 

La ‘normalizzazione’ degli organi sociali

L’apertura degli organi sociali a rappresentanti dei lavoratori ebbe tuttavia breve durata se nel 1949, in occasione di un nuovo aumento di capitale, nell’atto notarilexxvii appare un C.d.A. completamente ‘normalizzato’, senza cioè la presenza ciellenista: Giacomo Pellizzari, Antonio Pellizzari, Ing. Arnaldo Minuti; oltre ai rappresentanti della famiglia proprietaria troviamo il Dr. Giovanni Dolcetta e l’Ing. Antonio Darby. Il Dr. Dolcetta appartiene ad una famiglia già socia di Giacomo Pellizzari in un’altra iniziativa industriale: la Elettra di Montecchio Maggiore per la produzione di batterie. Questa era stata ceduta da Giacomo nei primi anni Quaranta alla famiglia Dolcetta che ne aveva cambiato il nome in F.I.A.M.M. e che diverrà negli anni leader nella produzione di accumulatori. Sull’ingegner Darby non si sono trovate notizie, soltanto una debole pista: poiché si tratta di un cognome poco comune (all’apparenza anglosassone), dovrebbe trattarsi di quel Nino Darby che – secondo quanto racconta Neri Pozzaxxviii – aveva aiutato Antonio Barolinixxix a trovare un impiego a Milano presso l’Amministrazione Aiuti Internazionalixxx. L’omonimia – Nino è in alcune regioni il diminutivo di Antonio – e la frequentazione dello stesso ambiente: si pensi all’amicizia fra Neri Pozza, Antonio Pellizzari e Antonio Barolini che li aveva uniti nell’avventura editoriale del Pellicano negli anni Quaranta. Nell’immediato dopoguerra Barolini aveva poi avuto, per un breve periodo, la funzione di segretario particolare di Antonio Pellizzari. Non sappiamo a che titolo Darby fosse nel C.d.A., ma il cognome anglosassone ed i contatti con l’ente A.A.I. potrebbe far pensare a una qualche relazione della Pellizzari con l’ente gestore del Piano Marshall in Italia. Tuttavia, in assenza di altri riscontri, è meglio evitare azzardi. Il legame di amicizia fra Darby e Antonio Pellizzari è inoltre confermato da quanto scrive, qualche anno più tardi, la moglie di quest’ultimo Loredana Balboni a P.M. Pasinettixxxi

Anche il collegio sindacale viene ‘normalizzato’ con l’uscita di Giovanni Bruni e la nomina a sindaco effettivo dell’avvocato Ugo Valenti, famigliare di Angelo Valenti che ne condivide lo studio di Via Verdi 3 a Milanoxxxii

Nel 1952 il C.d.A. viene rinnovato confermando i consiglieri in caricaxxxiii: Giacomo Pellizzari (presidente); Antonio Pellizzari (vice presidente); Ing. Arnaldo Minuti (consigliere e direttore generale); Ing. Antonio Darby (consigliere); Avv. Mario Longinotti (consigliere), nel frattempo perciò il Dr. Dolcetta era stato sostituito dall’Avv. Longinotti. Una fonte autorevole conferma che nel periodo 1950-1954 la maggioranza delle azioni della Pellizzari (60.600 su 96.000 azioni) erano detenute dalla Banca Commerciale Italianaxxxiv, sicuramente si tratta di un’operazione a fronte dell’impegno finanziario della banca nella società, ma è una questione complessa che non può essere approfondita in questa sede. Ma è legittimo chiedersi se, pur lasciando tutte le deleghe operative nelle mani della famiglia Pellizzari, la banca non abbia imposto un proprio rappresentante in C.d.A. a presidio dei propri interessi. Perciò ho cercato negli inventari on linedell’Archivio Storico della Comit se ci fosse qualche traccia dell’Avv. Longinottixxxv, il nuovo venuto in consiglio, ma purtroppo senza successo. Anche il collegio sindacale è stato riconfermato in quella sedexxxvi

 

La scomparsa di Giacomo Pellizzari

Gli organi sociali non subiscono variazioni significative fino a quando non verrà a mancare Giacomo Pellizzari alla vigilia del Natale 1955. A cambiare sono soltanto i Sindaci Supplenti con l’assemblea dei soci del 21/05/1955 per l’approvazione del bilancio 1954 che nomina l’avvocato Alberto Dalle Molexxxvii e l’avvocato Michele Sindona, un nome destinato a diventare molto noto alle cronache degli anni Settanta. Sindona manterrà la carica sino al cambio di proprietà del 1961. Marco Magnani, nel suo libro su Sindona, ricostruisce efficacemente i primi anni di attività milanese di Sindona: 

“È vero, sapeva leggere molto bene tra le righe dei bilanci, ma anche tessere utili conoscenze all’Ufficio delle imposte ed escogitare nuovi modi di eludere il fisco, doti che condivideva con pochissimi e che lo rendevano prezioso ai suoi clienti. Ciò gli bastò per farsi rapidamente un nome tra la borghesia meneghina. Nei primi mesi lavorò come associato nello studio di un commercialista assai ben introdotto, Raul Baisi. Presto aprì un proprio studio, grazie anche ai clienti che gli passava Tito Carnelutti, il cui padre Francesco, insigne giurista e uno dei maggiori avvocati italiani dell’epoca, era titolare del più importante studio di Milano.”xxxviii

Il ruolo di Sindona nella Pellizzari fu assolutamente marginale, di sindaco supplente appunto, e quasi sempre assente nelle assemblee, nulla fa supporre che i rapporti fra il futuro banchiere e la Pellizzari siano andati oltre le sue prestazioni professionali, ma dimostra semmai come la famiglia Pellizzari condividesse con la borghesia meneghina l’avvalersi dei professionisti più quotati sulla piazza. Le vicende della Pellizzari confermano altresì la stretta relazione fra Sindona e Tito Carnelutti, visto che dopo la morte di Giacomo Pellizzari troviamo in consiglio di amministrazione proprio l’Avvocato Carnelutti che vi resterà fino al cambio di proprietà dell’azienda nel 1961. Tito Carnelutti, vicinissimo a Giulio Andreotti, sarà un personaggio chiave della vicenda Sindona e della finanza bianca anche negli anni successivixxxix.

La morte di Giacomo Pellizzari sconvolge nel giro di breve tempo l’assetto dell’organo amministrativo. In un primo momento sembra che la successione avvenga secondo le volontà stabilite dal fondatore per garantire la continuità aziendale: Antonio Pellizzari, come stabilito, diventa presidente ed amministratore delegato della società coadiuvato dal cognato Arnaldo Minuti quale direttore generale ed entra in consiglio anche la sorella Nadette Pellizzarixl e l’avvocato Guglielmo Cappelletti, una figura di primo piano nel panorama politico vicentino: consigliere comunale a Vicenza per la Democrazia Cristiana nel 1946, entra nella giunta del sindaco socialista Faccio; nello stesso anno viene eletto all’Assemblea Costituente sempre nelle file democristiane. Dopo l’esperienza costituente preferì ritagliarsi un suo ruolo nella vita politica e culturale vicentina, vediamo come ne parla lo storico Ernesto Brunetta:

“Più specificamente per la città, non si può sottacere l’opera di Guglielmo Cappelletti che, come assessore alle finanze, diede ad essa un’impronta nuova e diversa proprio nel senso della diversificazione produttiva e nel momento, in ordine alla crisi cui più sopra si è fatto cenno, dell’espulsione dalla città di alcuni robusti, ma ormai obsoleti, complessi industriali, espulsione che apriva non pochi problemi occupazionali ed urbanistici. Dopo un’esperienza come deputato alla Costituente, Cappelletti aveva preferito ritagliarsi un suo ruolo nella vita politica cittadina secondo il quale egli divenne il punto di riferimento obbligato del processo di sviluppo che il partito di maggioranza intendeva far assumere alla città. Si devono a Cappelletti infatti le iniziative per la zona industriale che, attraendo media e piccola industria in un’area attrezzata al confine del perimetro comunale, riequilibrò le perdite prodotte dalla crisi tessile e smobilizzò una serie di aree cittadine utili alle funzioni di servizio cui la città era di necessità chiamata in una provincia ad alta e densa industrializzazione, bisognosa quindi di un punto di riferimento. […] Probabilmente non tutto si realizzò del disegno del Cappelletti che si ha l’impressione fosse maggiormente orientato ad una massiccia industrializzazione della città che, di fatto, invece incontrò evidenti limiti legati, se non altro, al policentrismo della provincia ed alla diffusione dell’industria in forma sparsa e decentrata, secondo il collaudato modello veneto che consentiva si evitasse il formarsi di grandi aggregazioni operaie e quindi il pericolo dell’acutizzarsi dello scontro sociale.”xli.

 

Crisi aziendale e fine della gestione Pellizzari

 Dopo la morte di Giacomo non tardò però ad emergere una crisi di natura finanziaria dell’azienda che probabilmente aveva origini in tempi non recenti, ma che il cambio generazionale aveva contribuito ad acuire. Ben presto venne inoltre alla luce la volontà di Antonio Pellizzari di non mantenere la direzione aziendale secondo le volontà del padre, ma di volere il pieno controllo aziendale esautorando gli altri membri della famigliaxlii. Nel giro di pochi mesi i contrasti si fecero più acuti fra Antonio e Arnaldo Minuti fino alle dimissioni di quest’ultimo dall’azienda. L’assemblea del 15 aprile 1957, sancisce l’accentramento di tutte le deleghe operative nelle mani di Antonio Pellizzari e le dimissioni della sorella Nadette e dei consiglieri decani Darby e Longinotti. Al loro posto entreranno in C.d.A. dei professionisti, alcuni probabilmente nominati in rappresentanza degli eredi azionisti di minoranza esclusi; il nuovo organo amministrativo risulta così composto: Antonio Pellizzari (presidente e amministratore delegato) e i consiglieri Avvocato Tito Carnelutti; Avvocato Guglielmo Cappelletti; Dr. Antonio Cova e Dr. Luigi Antonelli. Dell’avvocato Carnelutti abbiamo già detto sopra, dei consiglieri Antonelli e Covaxliii si hanno poche notizie. La crisi finanziaria dell’azienda emersa dopo la morte di Giacomo Pellizzari è, secondo la testimonianza di Carlo Geminianixliv, stretto collaboratore di Antonio, da imputarsi anche alla chiusura nei confronti di quest’ultimo delle aziende di credito locali. Del resto l’avversione della classe dirigente democristiana arzignanese (o quanto meno di una sua parte rilevante) nei suoi confronti era manifesta sin dal dopoguerra. Ecco quindi che è possibile che la nomina nel C.d.A. di figure come Carnelutti e Cappelletti si possa ricondurre al tentativo di allacciare quelle relazioni con la “finanza bianca” a livello nazionale e provinciale che a livello locale gli erano precluse.

Anche il collegio sindacale registra delle variazioni. Il presidente Piero Finetti rassegna le sue dimissioni per impegni personali ed accetta di rimanere nel collegio sindacale a patto di non mantenere la massima carica. Al suo posto viene nominato il dr. Guido Severgnini, viene riconfermato sindaco effettivo il rag. Sergio Dalle Mole ed entra come sindaco supplente il dr. Oscar Camerino a fianco dell’avvocato Michele Sindona. Su Severgnini non vi sono notizie, mentre su Camerino, commercialista veneziano, sappiamo che aveva un rapporto di stretta collaborazione con lo studio Carneluttixlv.

Per far fronte alla crisi aziendale Antonio decise di chiudere gli stabilimenti di Montecchio Maggiore e di Vicenza e ricorse, per la prima volta dalla nascita dell’azienda, ai licenziamenti che provocarono durissime reazioni fra i lavoratori della Pellizzari. La ristrutturazione aziendale fu affidata al Dr. Amedeo Cuminatti. Lo storico Giovanni Favero, in uno studio sulle Smalterie Vicentine di Bassano, ricorda come il Cuminatti giunse colà con la fama di tagliatore di teste dimostrata alla Pellizzarixlvi.

Nemmeno Antonio Pellizzari sopravvisse alla crisi economica e sociale della sua fabbrica e nel luglio 1958 morì a 35 anni lasciando una complessa situazione successoria. Dopo la sua morte, il vice presidente Antonio Cova assunse le funzioni di presidente del C.d.A. e venne nominato consigliere delegato il Dr. Amedeo Cuminatti, l’avvocato Cappelletti assunse la carica di vice presidente e rimasero in carica gli altri consiglieri, sicuramente tutti nominati prima della scomparsa di Antonio Pellizzari: il prof. Viscardo Montanarixlvii e l’ing. Angelo Decinaxlviii

Il C.d.A. così composto proseguì la ristrutturazione aziendale in attesa che venisse definita la complessa situazione successoria seguita alla morte di Antonio che aveva designato sua erede universale la moglie Loredana Balboni. Esso rimase in carica fino alla cessione dell’azienda ad un nuovo gruppo proprietario lombardo che avvenne alla fine del 1961.

 

NOTA DELLA REDAZIONE: Si ringrazia il Comitato Pellizzari di Arzignano per aver messo a disposizione le immagini presenti nel testo.

 

NOTE

i Si tratta di una ricerca inedita attualmente in fase di riscrittura. L’articolo qui presentato (con le opportune modifiche ed integrazioni) è stato tratto da quel lavoro.

ii Cfr. Atto costitutivo della società A. Pellizzari & Figli S.p.A., atto notaio Dr. Pietro Cassina di Milano, N. 12.542 Rep. – N. 4094 Racc. del 18 aprile 1945. La sede legale della Pellizzari rimase presso lo studio legale Valenti almeno fino al 1955, poi risulta trasferita in Via Duca d’Aosta 8 a Milano dove ha aperto dei propri uffici (cfr. Verbale assemblea dei soci del 26/05/1956) e successivamente trasferita in Corso Matteotti 10 a Milano (cfr. Verbale assemblea dei soci del 20/05/1959).

iii Cfr. Nori V., Pellizzari di tre generazioni (1901-1958) al servizio del lavoro e della cultura nella patria Arzignano e nel vicentino, Arzignano, A. Dal Molin, 1987.

iv La Banca Commerciale Italiana, spesso indicata con l’acronimo Comit, aveva la propria sede legale in Piazza della Scala a Milano.

v Molto si è scritto su Giacomo Pellizzari, ricordiamo qui a titolo di esempio il volume promosso dal Comitato del cinquantenario dalla morte di Giacomo (1955-2005) Dal Molin Augusto, Lora Antonio (a cura di): Giacomo Pellizzari, il suo tempo la sua gente: officine, produzioni, testimonianze, eredità: nuove ricerche, Comune di Arzignano, assessorato alla cultura, 2007 e Nori Vittoriano:Pellizzari di tre generazioni (1901-1958) al servizio del lavoro e della cultura nella patria Arzignano e nel vicentino, A. Dal Molin, Arzignano, 1987.

vi Roverato G., La terza regione industriale, in Lanaro S. (a cura di), Il Veneto, Einaudi, Torino, 1984

vii Giacomo Pellizzari è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 1940 e la laurea fu conferita nel 1952. Cfr. il ritratto che ne fa l’associazione dei Cavalieri del Lavoro in https://www.cavalieridellavoro.it/cavaliere/?numero_di_brevetto=1122 , ultimo accesso 19/12/2024.

viii Angelo Valenti mantenne la sua simbolica quota azionaria fino a ben oltre il cambio di proprietà della Pellizzari visto che nel 1965 ancora partecipava alle assemblee.

ix Cfr. i Bilanci Ufficiali della società degli anni 1949 – 1950 – 1952 – 1953 – 1954 – 1955 – 1956 – 1957.

x L’avvocato Ugo Valenti ha lo studio allo stesso indirizzo di Angelo Valenti in Via Verdi 3 a Milano, probabilmente si tratta del figlio o del nipote. Dall’annuncio di condoglianze per la morte di Giacomo Pellizzari pubblicato il 25.12.1955 su La Stampa risulta che lo studio legale è a nome di Angelo, Mario e Ugo Valenti.

xi Cfr. Rosalia Nino (a cura di) Angelo Valenti filantropo agirino indimenticabile e sempre attuale. Note biografiche pubblicata nel sito http://www.famigliagirinamilano.it (ultimo accesso 2/03/2020). Nel sito si trova un’ulteriore conferma che si tratta della stessa persona, l’associazione ha istituito un premio artistico-letterario Angelo & Angela Valenti in ricordo dei benefattori, La Stampa del 25 dicembre 1955, fra i diversi annunci di condoglianze per la morte del fondatore Giacomo Pellizzari, è pubblicata quella dell’avvocato Angelo Valenti e della moglie Angioletta.

xii Credo che la nomina nel collegio sindacale sia stata il frutto della situazione eccezionale in cui avvenne l’atto di costituzione della società, tanto che di lì a poco verrà sostituito.

xiii Il prof. Giulianati, insegnante, socialista, appartenente ad una famiglia antifascista dell’alto vicentino (il fratello maggiore fu partigiano, poi dirigente socialista della Cgil) entrò in consiglio comunale. Negli anni successivi, con l’evoluzione delle maggioranze politiche, fu più volte assessore ed anche vice sindaco e ricoprì per un decennio anche il ruolo di presidente della Biblioteca Bertoliana. Dopo la crisi del PSI scoppiata a seguito dell’inchiesta Mani Pulite, Giulianati si avvicinò, come altri suoi sodali, a Forza Italia.

xivGiulianati M., Sergio Dalle Mole. Il liberale al servizio della res pubblica, n. 36, anno XXI del 15/10/2016 in https://ladomenicadivicenza.gruppovideomedia.it/a_ITA_6404_1.html (ultimo accesso 08/01/2025)

xv Nel 1942 Minuti aveva sposato Teresita Pellizzari, la figlia maggiore di Giacomo e di Ofelia Selmo.

xvi Cfr. Nori V., Pellizzari di tre generazioni, cit.

xvii G. Minuti, A. Pellizzari & F. S.p.A. – Organizzazione funzionale e produttiva, in Giacomo Pellizzari, il suo tempo la sua gente…, cit., p.38

xviii Gli organi sociali vengono spesso rinnovati in occasione delle assemblee ordinarie, ma possono essere stati rinnovati nel corso di assemblee straordinarie dei soci. Il cambio dell’organo amministrativo da Amministratore Unico a Consiglio di Amministrazione è avvenuto sicuramente nel corso di una assemblea straordinaria.

xix Cfr. Atto notaio dr. Rodolfo Bertolini di Milano, del 14/12/1947 rep. 31.541. Giordano Temolo è indicato senza l’indicazione della carica di consigliere, ma dobbiamo supporre che sia stato un’omissione erronea. 

xx Giovanni Bruni viene indicato come meccanico, perciò anche nell’organo di sorveglianza viene inserito una persona proveniente dalla fabbrica, non sono riuscito però a trovare ulteriori notizie su di lui.

xxi Oltre alle citate opere di Vittoriano Nori, ricordiamo i due volumi curati dal Comitato Giacomo Pellizzari: Antonio Pellizzari. Un uomo solo tra musica e utopia, Arzignano, 2009 e Gli anni d’oro della cultura di Arzignano, Cornedo Vic., 2019 ed il ritratto che ne fa Guido Piovene nel Viaggio in Italia, Baldini e Castoldi, Milano, 2013. Vi sono inoltre alcune tesi di laurea su Antonio Pellizzari, qui ricordiamo Guagliardo M., Antonio Pellizzari: storia di una vita al servizio della cultura e del lavoro, rel. Giovanni Favero, Università Ca’ Foscari di Venezia, a.a. 2003/2004; Poli S., I manifesti pubblicitari della ditta Pellizzari & Figli di Arzignano, rel. Stefania Portinari, Università Ca’ Foscari di Venezia, a.a. 2010/2011; Zanchetta G., Antonio Pellizzari. Una dialettica tra arte e industria, rel. Massimiliano Ciammichella, I.U.A.V. di Venezia, a.a. 2010/2011.

xxii Cfr. Nori V., Arzignano Sviluppo Economico 1945 – 1990, Arzignano, A. Dal Molin & Figli, 1993

xxiii Cfr. La Scuola di Arzignano, Notiziario n. 19, aprile 1955, in Comitato Giacomo Pellizzari (a cura di), Gli anni d’oro della cultura di Arzignano, cit.

xxiv Minuti G., A. Pellizzari & F. Spa. Organizzazione funzionale e produttiva, in Giacomo Pellizzari, il suo tempo la sua gente, cit.

xxv Nori V., Arzignano Impegno Pubblico, Arzignano, A. Dal Molin & Figli, 1990, p. 21 che cita l’articolo di Pinco (sic!) sul numero del 23 ottobre 1948 de Il momento vicentino, gli attacchi del periodico vicentino avvengono a seguito dell’allontanamento del Ferrari per distrazione di fondi nell’ufficio, non sappiamo se l’accusa ebbe strascichi giudiziari, ma la vicenda ha probabilmente fornito l’occasione per chiudere la ‘gestione allargata’ del primo dopoguerra.

xxvi Ibidem, p.108

xxvii Atto del 12 novembre 1949 del notaio dr. Bertolini di Milano, Rep. 35.139

xxviii Scrittore, artista e fondatore dell’omonima casa editrice.

xxix Giornalista, scrittore e poeta.

xxx Pozza N., Ritratti vicentini e altro, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1987. Pozza parlando di Antonio Barolini che lascia Vicenza dice: “Pellizzari [Antonio NdA] era perso con le sue musiche, Barolini cercava un lavoro che gli assicurasse un salario mensile. Lo trovò a Milano, all’Amministrazione Aiuti Internazionali (complice Darby, un vecchio amico vicentino); e nel 1946 partì per stabilirsi a Milano.”

xxxi Loredana Balboni, vedova di Francesco Pasinetti, si lega ad Antonio Pellizzari che sposerà il 10 gennaio 1954 ma mantiene per lungo tempo un rapporto epistolare con il cognato P.M. Pasinetti che vive negli Stati Uniti. Lei cita fra gli amici stretti Antonio Darbi (scritto con la i latina ma non vi è dubbio che si tratta della stessa persona) in una lettera del 24 marzo 1952. Cfr. AA.VV., Da una riva all’altra dell’Oceano, Venezia, Ed. Ca’ Foscari, 2020, p. 191.

xxxii Su Ugo Valenti Cfr. nota 11. Vengono invece confermati il Dr. Piero Finetti e il Rag. Sergio Dalle Mole

xxxiii Cfr. Verbale assemblea del 30/06/1952 per approvazione del Bilancio al 31/12/1951.

xxxiv Cfr. Relazione del Commissario Giudiziale Ugo Nicoli per l’ammissione all’amministrazione controllata della Pellizzari del luglio 1970 (stralcio), in Zarantonello L. (a cura di), La Pellizzari settant’anni dopo, Arzignano, Gennaio 1972.

xxxv Cfr. https://asisp.intesasanpaolo.com/intesa-web/heritage/bci/banca-commerciale-italiana (ultimo accesso 07.01.2025).

xxxvi Risultano variati soltanto i due sindaci supplenti: Rag. Napoleone Svampa e Luigi Mondi. 

xxxvii Anche in questo caso è dobbiamo ipotizzare – senza certezze -che si tratti di un parente del sindaco decano Sergio Dalle Mole.

xxxviii Magnani M., Sindona: biografia degli anni Settanta, Torino, Einaudi, 2016, p. 25

xxxix Carnelutti è stato socio di David Mills, avvocato inglese di Silvio Berlusconi e figura chiave degli scandali che lo hanno coinvolto. Cfr. l’inchiesta giornalistica condotta da Ferruccio Pinotti – Udo Guempel, L’unto del signore, Milano, RCS Libri. “Ma è Tito Carnelutti, il fondatore dello studio Cmm con Mills, il membro della famiglia che riserva le maggiori sorprese. Vicinissimo a Giulio Andreotti, il suo nome appare già in un libro di Camilla Cederna del 1978 su Giovanni Leone, in cui si parlava dello scandalo generato nella metà del novembre 1977 dal caso Finabank, la banca ginevrina di Michele Sindona.”, p. 272. “Tito Carnelutti fu persino presidente di una delle più importanti società di Sindona, la Chesebrough Pond’s Italia, e, secondo un rapporto della polizia di Milano, l’ufficio di Sindona era situato allo stesso indirizzo degli uffici di Carnelutti a Roma”, p. 275. Si veda anche Tamburini Fabio, L’avvocato del paradiso, in Affari&Finanza de La Repubblica, 24.11.1997

xl Bernadette Pellizzari detta Nadette (1928) è la più giovane delle figlie di Giacomo Pellizzari e di Gabriella Jacoucci. Cfr. Nota biografica sulla famiglia Pelllizzari in Giacomo Pellizzari il suo tempo la sua gente, cit., pp. 231-247

xli Brunetta Ernesto, La vita politica dal 1943 al 1970, in Storia di Vicenza, vol. IV/1, L’età contemporanea, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1991, pp. 189-190. Si veda inoltre nello stesso volume il saggio di Reato Ermenegildo, I cattolici vicentini dall’opposizione al governo (1866-1968), pp. 287-321; la pagina di wikipedia su Guglielmo Cappelletti e Ricordo di Guglielmo Cappelletti (Vicenza 1907-1991). Commemorazione accademica tenuta nel Teatro Olimpico di Vicenza il 14 ottobre 1991, vol. 19 de I Quaderni dell’Accademia Olimpica, 1992, Vicenza. Si veda infine il ritratto di Cappelletti bibliofilo e collezionista che traccia Neri Pozza nel suo Ritratti vicentini e altro, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1987.

xlii Arnaldo Minuti, secondo le volontà di Giacomo, avrebbe dovuto coadiuvare il figlio Antonio nella gestione della società, ma pochi mesi dopo la morte del padre le cose cambiarono come ricorda il figlio Giacomo Minuti: “[Antonio] volle, dopo la scomparsa del padre, l’Azienda tutta per sé, senza coesistenza familiare e senza l’ingerenza gestionale del cognato Arnaldo, disattendendo la volontà del padre a pochi mesi dalla scomparsa e capovolgendo i suoi stessi sentimenti che sembravano sinceri e consolidati. […] Esautorato dalla responsabilità della gestione con decisione arbitraria ma irresistibile del neo-Presidente Antonio Pellizzari, Arnaldo Minuti, sentendosi profondamente a disagio per gli errori e le imprudenze del governo aziendale che il cognato stava facendo, ma ai quali ormai lui non era in grado di porvi rimedio, già nel 1957 aveva lasciato l’Azienda per coerenza ai propri principi etico-professionali, pur con grande turbamento e mai superato rimpianto fino alla morte avvenuta per un incidente d’auto il 27 settembre 1965 nei pressi di Montecchio Maggiore a soli 59 anni.” Cfr. Minuti G., A. Pellizzari & F. Spa. Organizzazione funzionale e produttiva, cit.

xliii Il Dr. Cova, già vice presidente durante l’ultimo consiglio presieduto da Antonio Pellizzari, dopo la sua scomparsa viene nominato Presidente del C.d.A. Non sono riuscito a trovare altre notizie sul Dr. Cova, salvo una stringatissima citazione nella pagina di wikipedia dedicata alle Officine Pellizzari: “1958 Per qualche mese è l’ingegnere milanese, Dottor Antonio Cova a guidare l’azienda”

xliv Si veda la tesi di laurea di Guagliardo Marilena, Antonio Pellizzari: storia di una vita al servizio della cultura e del lavoro; rel. Prof. Giovanni Favero – Università Ca’ Foscari di Venezia, a.a. 2003/2004

xlv “Il Dott. Oscar Camerino nacque a Venezia il 25 agosto 1905. A ventitrè anni consegui il diploma di laurea in Economia e Commercio presso l’Università di Ca’ Foscari, e subito dopo entrò nello studio del Dottor Oreste Vitale, dove svolse la pratica di rito. Alla vigilia della guerra era già un professionista molto affermato non solo a Venezia e nel Veneto ma anche a Milano, dove si recava settimanalmente ed aveva instaurato un rapporto di stretta collaborazione collo studio del Prof. Carnelutti. Le leggi razziali interruppero tale attività e lo costrinsero a rifugiarsi all’estero, dove collaborò col C.L.N. Rientrato a Venezia il 25 aprile del 1945, riprese subito il lavoro, rivestendo numerose cariche sociali in società di rilievo e svolgendo importanti incarichi giudiziali. Nel 1971 fu chiamato alla Presidenza dell’Ordine dei Commercialisti, che tenne fino al giorno della morte” in Ricordo di Oscar Camerino, Il Commercialista Veneto Anno VIII n. 27 ottobre 1972, periodico trimestrale a cura dei commercialisti del Veneto.

xlvi Favero Giovanni, Il “caso di Bassano” in prospettiva storica, in Quaderni sull’economia del dopoguerra (1945-1980), Vicenza, Istrevi, 2010, “Karl Hermann Westen decideva allora di delocalizzare la produzione, fondando nella Spagna franchista lo stabilimento Ibelsa, una fabbrica per la produzione di vasche da bagno, che utilizzava stampi e tecnici provenienti da Bassano, dove nominava consigliere delegato Amedeo Cuminatti, un manager che già alla Pellizzari di Arzignano aveva dato prova della capacità di avviare un processo di ristrutturazione doloroso imponendo forti sacrifici occupazionali” p. 24. Cfr. anche, AA.VV., Lo smalto e la ruggine. Domande, documenti e testimonianze sulle Smalterie di Bassano, Archeometra, Castelfranco V.to, 2002 e la tesi di laurea di Paolin Sergio, Il caso Smalteria Metallurgica Veneta: analisi di una vertenza, rel. Sergio Bologna, Università di Padova, a.a. 1980 – 81.

xlvii Le uniche notizie recuperate in rete si riferiscono ad un prof. Viscardo Montanari, agronomo e redattore della rivista Agricoltura delle Venezie ed autore di molte pubblicazioni su questioni agrarie, data l’incongruenza del curriculum sono propenso a pensare ad un caso di omonimia.

xlviii Su Decina non ho trovato alcuna traccia.