sabato 9 febbraio 2019

Le lotte alla Pellizzari del 1964-65 nell'archivio di Cosimo Pascali


L'articolo che segue è stato pubblicato la settimana scorsa (31/01/2019) nel sito di storiAmestre, associazione di cui faccio parte. Si tratta del secondo scritto propedeutico ad una più ampia storia della Pellizzari di Arzignano. Mi sto avvicinando progressivamente all'oggetto della ricerca e cerco di prendere confidenza con i personaggi che ne sono stati protagonisti. Cerco soprattutto di individuare  quali sono gli eventi cruciali che ne hanno segnato la storia.

Le lotte alla Pellizzari del 1964-65 nell’archivio di Cosimo Pascali

Un archivio privato
Il mio progetto di scrivere una storia della Pellizzari di Arzignano nel secondo dopoguerra l’ho reso pubblico soltanto di recente [https://storiamestre.it/2018/06/le-ragioni-e-le-emozioni-di-una-ricerca/], ma in realtà ci pensavo da un po’ di tempo e in qualche occasione ne avevo parlato con alcuni amici. Capitò così che un giorno di qualche anno fa una cara amica, Antonella Pascali, mi disse che voleva farmi vedere dei documenti che aveva trovato a casa del padre Cosimo dopo la sua morte avvenuta nel 2009. Venne da me con due cartelle tutte ordinate
La prima conteneva gli atti giudiziari di un processo in cui Cosimo Pascali era coimputato con altre nove persone per resistenza e offesa a pubblico ufficiale e violenza privata durante una manifestazione avvenuta il 26 novembre 1964. Oltre agli atti giudiziari, c’erauna serie di articoli di stampa relativi al processo, appunti e una minuta della memoria difensiva scritta dal padre, probabilmente su richiesta dei suoi avvocati. Il processo di primo grado del 23 aprile 1966 si concluse con una condanna pesante[1]. La sentenza d’appello del 18 novembre 1969 inflisse invece condanne generalmente più miti per tutti gli imputati (a Pascali fu confermata la condanna per offesa a pubblico ufficiale, ma non quella per violenza privata) che poi beneficiarono dell’amnistia[2].
La seconda cartella conteneva una serie di volantini e ritagli di giornale tratti dalla stampa locale e da l’Unitàriguardanti la decisione della Pellizzari di licenziare circa 344 lavoratori (220 operai e 124 impiegati) a partire dal 1 settembre 1965. Tale decisione, in realtà, era già stata presa un anno prima quando – dopo aver licenziato 74 impiegati – l’azienda aveva messo in cassa integrazione 240 operai; dalla fine del settembre 1964, di fatto i licenziamenti erano annunciati e soltanto rinviati. 
L’episodio finito nelle aule del tribunale accadde nel corso di una delle manifestazioni contro le sospensioni dei lavoratori ed è strettamente connesso con la successiva vertenza del 1965. 

Cosimo Pascali: documenti e ricordi di famiglia
Prima di ricostruire le vicende arzignanesi del 1964-65 vediamo chi era Cosimo Pascali: nato nel 1919 a Melendugno, nella costa salentina, alla chiamata di leva fu arruolato nella Guardia di finanza e inviato ad Arzignano agli inizi degli anni Quaranta. Qui conosce Angela Mani, che sposerà nel 1942 dopo aver assolto il servizio militare[3]. I ricordi dei famigliari non sono precisi, non ci sono notizie su come abbia vissuto i terribili anni di Salò, ma sappiamo che per un periodo lavorò alla Pellizzari. Dopo la Liberazione Cosimo entrò nelle file del PCI, una militanza attiva che, secondo i ricordi di famiglia, fucausa della sua espulsione dalla fabbrica. La mancanza di un lavoro lo obbligòa cercare fortuna in Germania, ma dopo circa un anno rientròad Arzignano. Dal racconto di Antonella, il padre aveva un carattere duro, difficile. Certamente non nascondeva le sue opinioni, anzi la sua determinazione e la sua capacità di arringare il pubblico gli valsero anche una denuncia per comizio non autorizzato[4].
La militanza e il carattere riottoso gli resero difficile trovare un lavoro nel clima che si era instaurato all’inizio degli anni Cinquanta. Fu lo stesso partito a proporgli di chiedere la licenza per aprire un chiosco di giornali: in questo modo egli si sarebbe assicurato un lavoro e, al tempo stesso, avrebbe garantito un canale di diffusione della stampa comunista anche ad Arzignano. Cosimo accettò e per qualche tempo fece il giornalaio con un carretto pieno di quotidiani e riviste in un angolo della piazza di Arzignano, vicino alla farmacia[5].
Era un uomo capace di gesti eclatanti come lo sciopero della fame del 1958 che finì nelle cronache nazionali[6]. Cosimo aveva chiesto al Sindaco e al responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale il permesso di montare un chiosco per la vendita dei giornali. Seppur informalmente, aveva ottenuto il loro consenso e aveva acquistato la struttura indebitandosiUna volta montata nell’angolo dove normalmente svolgeva l’attività, il Comune gli negò l’autorizzazione e lui iniziò lo sciopero della fame. La protesta si conclusecon l’autorizzazione da parte del Comune che gli impose però di spostare il chiosco nel quartiere di Villaggio Giardino, vicino agli stabilimenti Pellizzari. Ad Arzignano la famiglia Pascali divenneper molti decenni sinonimo di giornalai: tutti e tre i figli avrebbero fatto questa attività. Antonella la svolge ancor oggi, anche se non più ad Arzignano. 
Pur avendo l’edicola vicino alla fabbrica, Cosimo non perse l’abitudine di portarsi davanti ai cancelli della Pellizzari per vendere i giornali[7].Credo che c’entri la pratica dei militanti comunisti di quegli anni di vendere l’Unitànelle strade e nelle piazze. 
Il 26 novembre 1964, come tutti gli altri giorni, Cosimo era davanti ai cancelli e c’eraanche sua moglie Angela, che alla Pellizzari ci lavorava ed era una dei sospesi. 

Le lotte alla Pellizzari e l’episodio del 26 novembre 1964 
Torniamo ora ai fatti del 1964-65. Il 30 settembre 1964 – due mesi prima degli eventi che danno inizio al piccolo archivio di Cosimo – l’Unitàpubblica un articolo dal titolo Sciopero e corteo alla Pellizzari: gli operai degli stabilimenti scendono in sciopero alla notizia che l’azienda ha sospeso “250 operai”[8], l’adesione è massiccia e lo sciopero unitario. Già prima dell’estate erano stati licenziati 74 impiegati e alle proteste che ne erano seguite l’azienda aveva dato garanzie che non vi sarebbero stati altri licenziamenti. Invece a settembre ecco le sospensioni e la rabbia e la paura si diffonde fra i lavoratori. 
In una prima fase fu la rabbia a prevalere. Pascali lo ricorda nella memoria difensiva che scrisseper il processo.

Il 27 settembre, primo giorno di sciopero, il Zarantonello e il Dal Cortivo[9]stavano attaccando un manifesto a favore dello sciopero sulla rete metallica all’angolo della mura di cinta del Ricovero, dalla parte che guarda Villaggio Giardino, mentre mi trovavo a passare di là diretto vicino alla fabbrica per la vendita dei giornali. Mi fermai per leggere il manifesto e il Zarantonello mi disse: “Caro Pascali, ormai è ora di finirla. Il mitra ci vuole per farla finita una volta per tutte”[10]. Erano contenti tutti e due perché si iniziava una lotta in cui tutti, nessuno escluso, erano d’accordo, in più c’era una forte intesa unitaria di tutti e tre i sindacati: CGIL CISL e UIL, e quindi anche Dal Cortivo assentiva con cenni del capo a quello che aveva detto Zarantonello. Anch’io ero contento perché l’inizio di una lotta unitaria era buon segno perché indirizzata a difendere gli interessi di tutti: sospesi, licenziati e occupati, ma avevo un dubbio che la lotta sarebbe arrivata fino in fondo con l’unità dei tre sindacati[11].

Le proteste dei lavoratori continuarono compatte per qualche settimana[12]tanto che l’azienda riconobbe, in sede di chiusura del bilancio, che “durante il 1964 si sono registrate 76.642 ore di sciopero a causa delle operazioni di alleggerimento operate dalla Società. Tale cifra è superiore a quella di 61.148 ore, registrata nel 1963, anno in cui vi è stato il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro”[13].
Ai primi di novembre i sindacati organizzarono unitariamente uno sciopero provinciale in solidarietà[14]. È in questo clima di tensione, con scioperi frequenti, manifestazioni e la costante presenza davanti ai cancelli di alcuni dei sospesi che si giunge al 26 novembre 1964. 
Su quella giornata,l’archivio di Pascali conserva un solo articolo di stampa, pubblicato il giorno successivo dal Gazzettino[15]. Secondo il quotidiano veneziano (l’articolo non è firmato) l’episodio di violenza – pur nel clima teso e difficile dei rapporti aziendali della Pellizzari – andava separato dalla controversia sindacale in atto. Lo sciopero era stato indetto contro la decisione di trasferire in un “reparto confino”uno storico membro della Commissione Interna per la CGIL, Severino Roviaro[16]. L’emarginazione e l’isolamento dei sindacalisti più attivi era una forma di repressione molto comune all’epoca e spesso era l’anticamera dell’espulsione dalla fabbrica, ma secondo il cronista la decisione di proclamare un’ora di sciopero – pur essendo stata presa unitariamente dalla commissione interna – aveva fatto emergere delle divergenze fra le componenti. Fu così che alcuni commissari interni di CISL e UIL decisero di non scioperare e varcarono i cancelli fra le urla e gli insulti dei manifestanti. La rottura del fronte creò sconcerto fra i lavoratori, molti altri seguirono l’esempio ed entrarono, “anche dipendenti notoriamente aderenti alla organizzazione sindacale di sinistra”[17].
Fu forse questo che esasperò gli animi dei manifestanti, Roviaro e qualche altro reagirono attuando un sit-in, una nuova forma di protesta definita “all’inglese”, fatta conoscere dalla televisione[18]. Si sedettero sulla strada bloccando il traffico; alle vivaci proteste di un camionista i carabinieri cominciarono a spostare di peso i manifestanti. Le forze dell’ordine presenti erano numerose, non c’erano soltanto i carabinieri di stanza ad Arzignano, ma anche quelli di Trissino e Valdagno. Quando spostarono Roviaro qualcosa andò storto, forse per la sua reazione scomposta; fatto sta che sia il sindacalista che un ufficiale dei carabinieri rimasero contusi. Sembrò un piccolo incidente senza conseguenze, Roviaro non fu nemmeno posto in stato di fermo e si allontanò accompagnato dai suoi compagni per farsi medicare. Il giorno dopo invece furono denunciate a piede libero dieci persone con accuse che vanno dall’offesa e resistenza a pubblici ufficiali, a violenza privata e blocco stradale. Tutti furono rinviati a giudizio[19]. Oltre a Roviaro – su cui gravavano le imputazioni più pesanti– finiscono sotto processo anche Pascali (per offesa a pubblico ufficiale e violenza privata) e Sergio Pellizzari (per offesa e pubblico ufficiale e violenza privata), anch’egli commissario interno della CGIL alla Pellizzari e capogruppo comunista in consiglio comunale[20].
Un episodio tutto sommato marginale divennel’occasione per criminalizzare alcuni elementi di spicco del sindacato più influente della Pellizzari nonché tre esponenti dell’opposizione di sinistra in consiglio comunale[21].

Il significato del 26 novembre
Cosa è successo effettivamente quel giorno? Si era forse fatta largo fra i lavoratori della Pellizzari l’opinione che la battaglia era perduta e la paura di perdere il posto di lavoro era cominciata a prevalere sulla solidarietà? 
Nel giugno successivo, il Psiup distribuìun volantino dal titolo Il voto della paura[22]: denunciava che per la prima volta dalla fine della guerra la Fiom Cgil aveva perso la maggioranza nelle elezioni delle Commissione Interna della Pellizzari. Per vent’anni la classe operaia della Pellizzari aveva rappresentato un’enclave rossa in un territorio dominato a larghissima maggioranza dalla Democrazia Cristiana. Nel 1963 le elezioni della Commissione Interna aveva dato questi risultati: 815 voti e 6 seggi alla CGIL, 405 voti e 3 seggi alla CISL, 128 voti e 1 seggio alla UIL; gli impiegati (2 seggi) votavano massicciamente per la CISL bilanciando in parte la composizione della C.I.[23]Il volantino del PSIUP attribuivala causa della sconfitta all’isolamento in reparti confino dei sindacalisti CGIL e alle minacce nei confronti dei lavoratori che aderivano al sindacato di sinistra. Nei mesi successivi l’Unitàdenunciò che era stata diffusa la notizia dell’esistenza di commesse americane per la Pellizzari condizionate alla normalizzazione della fabbrica, ovvero una rappresentanza dei lavoratori non controllata dalla CGIL[24].
Non ho ancora recuperato i dati delle elezioni del 1965, ma visti i risultati del 1963 quali sono le ipotesi possibili? È ipotizzabile che fra i licenziati e sospesi del 1964 gli iscritti alla CGIL fossero un buon numero; questo, oltre a modificare gli equilibri interni, può aver costituito un deterrente a continuare a dare l’adesione alla CGIL fra i lavoratori rimasti. Un’altra ipotesi è che i sindacati moderati siano riusciti a recuperare adesioni nell’area dei non iscritti. In ogni caso è possibile collocare nelle vicende dell’autunno 1964 la diminuzione dell’influenza della CGIL alla Pellizzari, ma quanto può aver pesato il processo per i fatti del 26 novembre su tale diminuzione?
I documenti della seconda cartella dell’archivio ci raccontano la ripresa degli scioperi nell’autunno 1965, ma la sorte dei 220 lavoratori in cassa integrazione non sarebbe cambiata. La Direzione aziendale confermò il loro licenziamento e quello di altri 124 impiegati[25]da fine settembre 1965.
Il piccolo archivio lasciato da Cosimo Pascali si è perciò rilevato prezioso per la ricostruzione delle relazioni sindacali nella Pellizzari durante la prima crisi nella decade di “gestione lombarda”[26]della fabbrica (1961-1970). Quanto meno ha messo in luce il momento in cui si modificano gli equilibri interni alla fabbrica e pone nuovi interrogativi che spero trovino conferme negli archivi sindacali esistenti.
Per quanto concerne le due cartelle di Cosimo, a suo tempo mi sono limitato a riordinarle per tipologia e ordine cronologico dei documenti e a farne una copia in formato pdf. Ho poi restituito gli originali e una copia digitalizzata alla famiglia. Questa è l’occasione per ringraziare pubblicamente Antonella e i suoi famigliari, ma anche un invito a salvare ogni volta che si presenta l’occasione gli archivi di questo genere pur sapendo quanto improbo e difficile possa essere[27]


[1]Per i disordini durante lo sciopero alla Pellizzari condanna del Tribunale per quasi nove anni, “Il Giornale di Vicenza”, 24 aprile 1966; Oltre otto anni agli operai della Pellizzari, “l’Unità”, 24 aprile 1966; Condannati i dieci protagonisti della accesa protesta ad Arzignano, “Il Gazzettino”, 24 aprile 1966. Archivio Cosimo Pascali (d’ora in poi ACP).
[2]ACP, cartella 1, sentenza del 6 dicembre 1969 e lettera dell’avvocato Barilà in pari data. 
[3]Il certificato di matrimonio, celebrato il 6 agosto 1942, riporta la professione di meccanico. Nei ricordi di famiglia, al momento del matrimonio Cosimo non era più nella guardia di finanza. Notizia confermata dal suo ruolo matricolare, Cosimo iniziò il servizio militare il 5/09/1938 per un periodo di ferma di 3 anni, ma fu congedato il 8/01/1941 perché “permanentemente inabile al servizio militare”. Foglio matricolare n. 7186 Distretto militare di Lecce, in Archivio di Stato di Lecce.
[4]ACP, nella cartella 1 contente gli atti processuali c’è anche la notifica del 1951 per comizio non autorizzato.
[5]Testimonianza di Antonella Pascali.
[6]Cercando notizie sulla Arzignano degli anni Cinquanta nell’archivio de La Stampa, ho trovato un trafiletto del 31 marzo 1958 dal titolo Digiuna da tre giorni il giornalaio vicentino, che parlava dello sciopero della fame di Cosimo PascaliAntonella Pascali (allora neonata) conferma la notizia: fu un evento memorabile per la famiglia; esiste una serie di foto che documentano il trasloco dell’edicola. 
[7]Nella memoria difensiva del processo Pascali giustifica così la sua presenza davanti ai cancelli il 26 novembre 1964: “Da oltre 15 anni mi porto presso lo stabilimento Pellizzari per vendere i giornali, talvolta anche 4 volte al giorno, anche per riscuotere crediti da parte dei clienti”. ACP, cartella 1, Memoria difensiva.
[8]Le cifre sono spesso diverse, in questo caso indicati per eccesso perché i lavoratori sospesi erano 240, poi ridotti a 220 nel periodo che segue.
[9]Entrambi erano commissari interni della Cisl.
[10]Più avanti nel testo della sua memoria Pascali precisa che questa frase non andava presa alla lettera ma esprimeva soltanto la rabbia per la situazione. La attribuisce a un rappresentante della Cisl: è forse un modo per dare maggior enfasi allo sdegno che esprimevano tutti, anche i moderati. Non sappiamo se gli avvocati hanno poi fatto modificare la versione definitiva della memoria.
[11]ACP, Memoria difensiva.
[12]Seconda settimana di lotta alla Pellizzari, “l’Unità”, 7 ottobre 1964.
[13]Relazione del CdA al bilancio al 31 dicembre 1964, depositato al Tribunale di Milano il 24 agosto 1965, Reg. Soc. 48479, Vol. 1660, Fasc. 836, ora presso la CCIAA di Milano.
[14]Risposta unitaria a Vicenza per salari e occupazione, “l’Unità”, 4 novembre 1964.
[15]Tafferuglio all’ingresso della Pellizzari provocato da un operaio dello stabilimento, “Il Gazzettino”, 27 novembre 1964. È l’unico articolo presente nell’ACP che contiene un resoconto a caldo dei fatti del 26 novembre. Da quel giorno, a seguito della denuncia, Cosimo cominciò a conservare gli articoli di stampa relativi al processo e anche quelli sulle lotte della Pellizzari nel 1965. È molto probabile che anche il quotidiano locale abbia pubblicato un resoconto dei fatti il 27 novembre 1964, cosa che devo ancora verificare.
[16]Il cronista pone l’accento su una motivazione quasi personale dello sciopero: Roviaro era di malumore per non essere stato rieletto in consiglio comunale e a questo si aggiungeva la scontentezza per il trasferimento di reparto. In verità verrebbe da pensare che il provvedimento fosse stato preso proprio perché Roviaro aveva perso lo status di consigliere e quindi la visibilità politica esterna che fino ad allora aveva costretto la direzione aziendale a un atteggiamento più prudente. Severino Roviaro, era stato eletto consigliere comunale per il PSI nel 1956 e nel 1960; alle elezioni amministrative del 22 novembre 1964 si era presentato nelle liste del PSIUP senza esserne eletto, ma rientrerà in consiglio comunale il 27 aprile 1965, dopo le dimissioni del consigliere Costantino Zini.
[17]Tafferuglio all’ingresso della Pellizzari cit.
[18]Gli articoli di stampa presenti nella cartella del processo definiscono l’accaduto come “protesta all’inglese”, vedi ACP, cartella 1. 
[19]Sentenza di rinvio a giudizio, 18 dicembre 1965.
[20]Sergio Pellizzari verrà eletto deputato al Parlamento nelle file del PCI durante la V e la VI legislatura (1968-1976).
[21]Se si esaminano le carte processuali la condanna più grave è di blocco stradale (per alcuni imputati) e offesa e resistenza a pubblico ufficiale, il reato di violenza privata decade per tutti gli imputati (se si eccettua la posizione di Roviaro che rimane anch’egli ferito); vedi ACP, cartella 1.
[22]ACP, cartella 2, PSIUP Sezione di Arzignano, Il voto della paura, volantino a stampa datato giugno 1965, Tip. Eretenia Vicenza.
[23]Arzignano: successo Cgil, “l’Unità”, 2 febbraio 1963. Il trafiletto riporta sinteticamente anche i risultati del 1962: Cgil 805 voti e 6 seggi, Cisl 457 voti e 3 seggi, Uil 170 voti e 1 seggio. Sarebbe importante recuperare i dati relativi al 1964 per verificare se c’erano già stati segnali della trasformazione che avverrà nel 1965.
[24]Il sindaco di Arzignano requisisca la Pellizzari, “l’Unità”, 24 ottobre 1965. La notizia va verificata, ma anche fosse falsasarebbe importante capire se e quanto è circolata fra le maestranze e se può aver effettivamente influito sul voto delle rappresentanze sindacali.
[25]A fine agosto la Direzione comunicò la decisione di licenziare a fine settembre i 220 operai sospesi e 124 impiegati, dopo alcuni scioperi venne prorogata la cassa integrazione per altri due mesi agli operai sospesi e gli impiegati licenziati furono ridotti a 84, magli altri licenziamenti furono confermati.
[26]La stampa definiva così la gestione della Pellizzari iniziata alla fine del 1961 con la cessione del controllo azionario da parte degli eredi Pellizzari a società finanziarie (Edolo S.p.A. e Cadia S.p.A. poi sostituita dalla Finanziaria Lombardo Veneto S.p.A) legate a gruppi industriali di Sesto San Giovanni (OSVA, Laminatoio Nazionale, Acciaierie Elettriche) che avevano nominato l’ing. Enrico Lossa Presidente C.d.A. La “gestione lombarda” durerà per un decennio fino alla crisi 1970-71 che porterà l’azienda prima all’amministrazione controllata, poi al fallimento ed all’acquisizione da parte delle PP.SS.  
[27]Per un elenco dei documenti dell’archivio ACP cfr. l’articolo Le lotte alla Pellizzari di Arzignano del 1964pubblicato nel mio blog workingclass900.blogspot.com.

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