Ho recuperato il testo di una vecchia e mail del dicembre 2003 inviata agli amici di StoriAmestre in risposta ad una loro sollecitazione. Si trattava di dire quali pensieri e ricordi evocasse la parola Mestre. L'ho riletta per caso dopo un decennio e non mi è dispiaciuta, perciò la ripropongo. Parla di un luogo, ma è anche storia operaia, o immagine di storia operaia. c.w.
Cari amici di
StoriAmestre,
quando qualche giorno fa
Piero e Luciana mi hanno parlato dell’iniziativa su Mestre del 18
dicembre, anch’io mi sono ritrovato a pensare quali immagini mi
evocasse la parola Mestre. Avrei voluto partecipare all’incontro,
ma purtroppo altri impegni me lo impediscono perciò ho pensato di
scrivervi questa lettera.
Mestre, più ci penso e
più mi rendo conto di quanto poco la conosco, quindi ho
deciso di lasciarmi andare alle sensazioni ed ai ricordi che la
parola mi ispira, alla maniera della écriture automatique
surrealista, non so se quanto emerge vi aiuterà certo a far luce
sulla vostra cittá o forse sarà soltanto l’idea di Mestre di un
foresto dell’entroterra vicentino. Ma andiamo avanti.
La prima idea di Mestre è
quella di una fermata
ferroviaria. Un’ultima fermata prima di arrivare a Venezia.
Una stazione grande, ma un posto dove non si scende, si prosegue. La
meta è sempre la Venezia insulare e turistica dove passeggiare con
gli amici e le amiche da adolescente. Si sa, i primi viaggi fuori
dalla tutela dei genitori si ricordano sempre con piacere. Tuttavia
per me Mestre è rimasta soltanto una stazione ferroviaria anche
dopo. Quando, per esempio, quasi trentenne ho ripreso gli studi ed ho
continuato ad andare a Venezia quasi sempre in treno senza mai
scendere a Mestre.
Altre due parole sono
associate a Mestre nel mio immaginario e sono: lotte ed inquinamento.
Ricordo, avevo allora sedici o diciassette anni, che assistetti ad un
concerto di Bertelli a Chiampo, un brutto paese nell’omonima valle
vicentina, in cui Gualtiero venne a cantare le lotte degli operai di
Porto Marghera, del petrolchimico e dei suoi tumori. Come per molti
altri giovani militanti, le canzoni di Bertelli alimentarono in me
un’immagine mitica di quegli operai capaci di lotte che dalle mie
parti si erano viste solo quando venne occupata la Pellizzari - la
grande fabbrica metalmeccanica dove lavorava mio padre – per
scongiurarne la chiusura. Ma la ribellione operaia di Marghera ci
giungeva più forte, più rivendicativa, più rivoluzionaria. Allo
stesso tempo però avevo identificato Mestre con il suo polo
industriale. Mestre, pensavo: “che posto orribile ed inquinato”;
certo le lotte, i compagni, l’isola rossa in un Veneto bianco, ma
che postaccio per vivere. Pensavo questo ed intanto crescevo in una
delle valli più inquinate d’Italia, un posto in cui stavano
nascendo concerie in tutti gli scantinati e le vecchie stalle e
queste scaricavano quantità immense di veleni e porcherie senza
alcun controllo. Un posto le cui acque dei fossi e delle rogge
cambiavano di colore in funzione del colore di moda per le scarpe e
pelletterie (non so quanti di voi abbiamo potuto vedere il fosso di
fianco a casa di color verde pisello, viola ciclamino, rosso fuoco o
giallo limone, beh quello vicino a casa mia poteva cambiar di colore
anche più volte al giorno, come nei fumetti!!). Tutta quella merda
poi proseguiva verso il mare adriatico inquinando ampie zone della
bassa pianura veneta, eppure io pensavo: “che posto orribile ed
inquinato deve essere Mestre con il suo petrolchimico ed i suoi
tumori”. Cosa significa la forza evocativa delle canzoni! A
ripensarci credo che la nostra sfortuna di valligiani sia stata la
mancanza di un Bertelli nostrano che facesse conoscere al mondo
quello che stava capitando e che avrebbe consentito a qualche
mestrino di pensare: “che posto orribile la valle del Chiampo!”.
Sapere che ci sono dei posti orribili ci consente di riconciliarci
con il posto dove viviamo ancorché altrettanto orribile. Lo spazio
conosciuto contrapposto all’ignoto. E’ sempre un po’ la storia
della pagliuzza nell’occhio altrui e la trave nel proprio.
Un’altra immagine –
più recente - che associo a Mestre è la tangenziale. Quando si va a
Venezia in treno, le immagini di Mestre sono piuttosto limitate: una
grande stazione, alcuni cavalcavia, ma appena il treno esce dalla
stazione verso Venezia si intravede la laguna e sullo sfondo Porto
Marghera. Altro è arrivare a Mestre in auto ed attraversarla con la
tangenziale. Avete mai provato a pensare alla città vista dalla
tangenziale? Per prima cosa si pensa a chi vive a ridosso della
tangenziale, forse davvero costoro quando vanno in vacanza chiedono
un hotel “vista tangenziale”, come recentemente ironizzava
Claudio Bisio in una pubblicità. Forse ci si fa l’abitudine e
forse qualcuno realmente può distrarsi contando le auto color grigio
topo che passano in un’ora, ma vi giuro che non ho mai invidiato
chi deve vivere accanto ad una tangenziale. E’ vero anche che le
tangenziali ci sono dappertutto e non solo a Mestre, e che Mestre non
è solo la tangenziale, ma non riesco a dissociare Mestre dalla sua
tangenziale. Non è un’immagine positiva, evoca traffico, caos,
stress ed ancora una volta inquinamento. Tant’è che ogni volta
che devo venire a Mestre, se posso, evito di usare la macchina,
perché ho paura di perdermi (cosa che capita puntualmente), di dover
girare a vuoto, di cercare un parcheggio che non si trova mai.
Insomma soffro di quelle ansie ed esprimo quegli stereotipi di cui si
nutre ogni buon provinciale quando pensa alla metropoli.
Un’ultima immagine di
Mestre sono le manifestazioni. Piazza Ferretto è sempre stata il
punto di confluenza delle manifestazioni ed a qualcuna di esse ho
partecipato nel corso degli anni (non molte per la verità, ma almeno
due tre volte ci sono stato), ma soltanto due o tre anni fa sono
capitato in Piazza Ferretto di sabato pomeriggio senza che ci fossero
adunate in programma e per la prima volta l’ho osservata e mi è
piaciuta. Era un pomeriggio di primavera, era piena di gente. C’erano
crocchi di persone che chiaccheravano, m’è parsa bella, ma forse
anche questo è uno stereotipo.
La mia idea di Mestre è
come si è visto negativa e forse molto stereotipata, nonme
nevogliano gli amici di Mestre, in futuro saranno obbligati a
mostrarmi quelle parti di Mestre che mi faranno ricredere sulla
Venezia di terraferma. Del resto nemmeno la Vicenza che mi ospita da
ormai vent’anni è un paradiso. Anzi, mi pare che sia in atto una
mestrificazione [nel senso della Mestre da me evocata] del
territorio da Venezia a Verona ed oltre. Basta girare per alcune
valli sperdute per notare come i capannoni, le villette singole e le
villette a schiera non abbiano risparmiato posti impervi e
apparentemente fuori dal mondo rendendoli anche più assurdi della
mia Mestre immaginaria.
Un saluto,
w.
Anche dopo 10 anni il tuo post risulta attuale ed interessante. Bravo!
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