Questo articolo - con qualche taglio per esigenze editoriali - è stato pubblicato il 4 aprile 2020 sul sito di storiAmestre, associazione di cui faccio parte. Ringrazio ancora Piero Brunello e Filippo Benfante per l'insostituibile lavoro di editing fatto anche in questa occasione.
L'articolo, in realtà, è nato come premessa di un lavoro che sto scrivendo sulla Pellizzari, ma si è trasformato in una digressione sul tema degli archivi aziendali e la loro accessibilità. Qui lo ripropongo con le citazioni e le note originali.
Apologia dell’archivio accessibile al pubblico
Giorgio Roverato, con un suo articolo apparso nel 2017 su un periodico online[1], lanciava un grido d’allarme alla Soprintendenza Archivistica di Venezia e al Sindaco di Valdagno a difesa dell’archivio storico della Marzotto, non più accessibile dopo il cambio della leadership aziendale e riguardo al quale aveva avuto notizia di alcune sottrazioni documentarie. Richiamava l’attenzione sul problema della salvaguardia degli archivi aziendali quali fonti fondamentali per la storia contemporanea. Roverato, è poi tornato sull’argomento commentando (nel marzo 2018) un mio articolo apparso sul sito di storiAmestre nel luglio 2017:
“… da almeno un quindicennio – la incomprensibile inaccessibilità alla parte “storica” dell’archivio aziendale: accesso invece che, pur in assenza di vincolo della (ahimè IN)competente Soprintendenza Archivistica, la precedente proprietà (quella a guida Pietro Marzotto) liberalmente consentiva. Evidentemente consapevole, la passata leadership aziendale, della eccezionale rilevanza di quella parte d’archivio non solo per la storia della comunità valdagnese, ma anche per l’intera storia dell’industria laniera italiana: come è rilevabile dai miei studi sull’azienda (a partire da una delle prime storie d’impresa italiane: “Una casa industriale. I Marzotto”, Milano, Angeli, 1986) e dalle tesi di laurea che su quei materiali furono realizzate da non pochi studenti del mio corso di “Storia economica” nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova.”
L’azienda di cui ci parla Roverato tuttavia è l’eccezione e non la regola. La Marzotto è stata un’industria laniera di prima grandezza nel panorama italiano ed europeo e il suo carattere di impresa famigliare fino a tempi recenti avevapermesso la conservazione dell’archivio storico aziendale che poche, anzi pochissime, aziende industriali sono riuscite a preservare per diverse ragioni.
La prima causa di dispersione degli archivi è da attribuire alla discontinuità nella proprietà di un’azienda o il suo trasferimento fisico in altra sede. In questi casi avviene una naturale cesura con le amministrazioni aziendali precedenti che porta allo svecchiamento degli archivi, quanto meno per tutte quelle attività che sono ritenute concluse.
Una sensibilità alla conservazione della documentazione ai fini archivistici è cosa molto recente anche per grandi istituzioni finanziarie, si pensi all’Archivio Storico di Intesa Sanpaolo, già di Banca Intesa e prima ancora della Banca Commerciale Italiana, che nel 1984 fu pioniera nel dotarsi di un criterio di conservazione dei propri fondi d’archivio. Banca Intesa e successivamente Intesa Sanpaolo hanno fatto proprio tale criterio anche per i fondi delle altre banche che sono entrate a far parte del gruppo[2].
Le aziende industriali, siano esse di piccola, media o grande dimensione, non sono mai o quasi mai dotate di un sistema di archiviazione documentale funzionale a un accesso pubblico degli archivi. In primo luogo perché l’idea che altri possano mettere il naso nei propri affari non piace alla maggioranza dei capitani d’industria, per timore che la concorrenza possa avvantaggiarsene o per evitare complicazioni burocratiche e fiscali. Gli archivi aziendali sono perciò funzionali all’attività dell’azienda e i documenti sono conservati finché hanno una ragione tecnica o economica o finché lo impongono obblighi di natura giuridica o fiscale. Così, spesso, la documentazione più vecchia viene distrutta indistintamente, senza alcun criterio di selezione. Soltanto l’avvicinarsi di qualche anniversario quali, per esempio, il venticinquesimo o il cinquantesimo anno di attività spinge gli imprenditori a fare i conti con la propria storia e a rendere pubblici alcuni documenti aziendali, magari finanziando la pubblicazione di testi celebrativi. Molto spesso a tale traguardo giunge però una documentazione limitata e insufficiente o emerge soltanto quella che può dar lustro al risultato raggiunto.
Quanto importante sarebbe invece per la storia industriale, la storia economica, la storia del lavoro se questi archivi si rendessero accessibili e si diffondesse una cultura della loro conservazione, favorita anche dalla dematerializzazione documentale del digitale. Tali archivi, dopo un congruo lasso di tempo, potrebbero essere oggetto di studio e di consultazione. Ci riferiamo, ovviamente, al libero accesso a documenti che – come dicevamo poc’anzi – hanno esaurito la propria funzione tecnica o economica e non, per esempio, di progetti e relazioni relative alla produzione di brevetti industriali la cui riservatezza preserva dai rischi di spionaggio industriale e di concorrenza commerciale.
A proposito della reticenza ad aprire gli archivi storici a occhi estranei, Marc Bloch, nel suo Apologia della storia o mestiere di storico, diceva che paradossalmente “sono le rivoluzioni che forzano la casseforti e costringono i ministri a fuggire prima di avere avuto il tempo di bruciare i loro documenti segreti”[3]; a volte soltanto grazie a situazioni eccezionali sono venuti alla luce documenti che altrimenti sarebbero rimasti inaccessibili o sarebbero stati distrutti dai loro possessori. La riflessione di Bloch nelle pagine che seguono potrebbe essere un manifesto programmatico ancora attuale:
“Fino a quando, almeno, le società, rinunciando a rimettersi per questo bisogno alle proprie tragedie, consentiranno infine a organizzare razionalmente, con la loro memoria, la loro conoscenza di sé. Vi riusciranno soltanto a patto di impegnare una lotta a fondo contro i due principali responsabili dell’oblio o dell’ignoranza: la negligenza, che smarrisce i documenti, e l’ancor peggiore mania del segreto – diplomatico, d’affari, di famiglia -, che li nasconde e li distrugge. È naturale che il notaio sia obbligato a non svelare le operazioni del cliente; ma che gli sia permesso di avvolgere di altrettanto penetrabile mistero i contratti stipulati dai clienti del suo bisavolo – mentre, d’altro canto, nulla gli impedisce seriamente di lasciare andare in polvere quelle carte – è cosa su cui le nostre leggi sanno veramente di muffa. E quanto ai motivi che impegnano la maggior parte delle grandi imprese a negare la pubblicazione delle statistiche più indispensabili a una sana guida dell’economia nazionale, solo di rado essi sono degni di rispetto. La nostra civiltà avrà fatto un gran passo avanti il giorno in cui la dissimulazione eretta a norma di comportamento e quasi a virtù borghese lascerà il posto al gusto per l’informazione: cioè a dire, necessariamente, per gli scambi di informazioni”[4].
Forse qualche passo avanti nella direzione auspicata da Bloch è stato fatto dal 1942, quando scriveva queste parole, ma rimane ancora molta strada da fare perché si affermi una nuova mentalità. Tornando agli archivi aziendali è intuibile che non tutte le imprese – in particolare quelle piccole e medie – siano in grado di destinare risorse per un archivio storico aziendale, quando i dati statistici ci dicono che spesso viene investito ancora troppo poco in ricerca e sviluppo per l’attività produttiva. A questo però potrebbero supplire le associazioni di categoria, sia per la raccolta, la selezione e la conservazione dei documenti, sia per convincere i propri associati ad autorizzarne l’uso pubblico con limiti e criteri opportunamente definiti. Si pensi a quale importante contributo per lo studio della società contemporanea darebbe poter ricostruire la storia di una produzione industriale, di un’organizzazione produttiva e commerciale e delle relative relazioni con i lavoratori.
Il caso Pellizzari: cosa rimane dell’archivio aziendale
Nel caso delle Officine A. Pellizzari & Figli Spa di Arzignano la maggior parte della documentazione aziendale è andata perduta. Non poteva essere diversamente date le vicissitudini aziendali: fine della dinastia che l’aveva fondata con la morte di Antonio Pellizzari nel 1958, cambio di proprietà e passaggio sotto il controllo di un gruppo di Sesto San Giovanni nel 1961 fino alla crisi e all’occupazione della fabbrica nel periodo 1970-1971. Dalla primavera del 1971 la fabbrica entrò a far parte delle Partecipazioni Statali. Gli stabilimenti originari furono chiusi, alcune lavorazioni accentrate presso altre aziende dell’IRI e la produzione che rimase ad Arzignano fu trasferita nel nuovo stabilimento Simep, alle porte della cittadina. Non mancarono successive crisi e riorganizzazioni nell’ambito dell’IRI e anche dopo la successiva privatizzazione. Quindi le occasioni per disperdere gli archivi sono state così tante e le vicende così complesse che è un miracolo se qualche documento è stato preservato e conferito alla Biblioteca Comunale di Arzignano.
La maggior parte di quello che si è salvato lo si deve all’iniziativa di Vittoriano Nori, prolifico storico locale e dipendente della Pellizzari che è stato il primo a scrivere sull’argomento[5]. Il 22 giugno 1987 Nori recuperò dalla società Ercole Marelli Spa – società nella quale era confluito nel frattempo lo stabilimento arzignanese – il materiale d’archivio superstite della Pellizzari, della Eletar e della Simep[6] per consegnarlo alla Biblioteca Civica[7].
Il Fondo Pellizzari prese avvio da quei 36 fascicoli[8] consegnati a Nori ed è costituito da documenti aziendali di diversa natura e un buon numero di immagini fotografiche. Nel corso del tempo si è aggiunta altra documentazione proveniente da diverse fonti oltre a una cospicua letteratura sull’argomento composta da saggi, articoli, tesi di laurea ecc. presente nella sezione locale della biblioteca[9].
La catalogazione del Fondo deve ancora essere completata, ma a una prima ricognizione, anche soltanto osservando lo spazio che esso occupa fisicamente nei locali della biblioteca, si intuisce che si è salvato molto poco se teniamo conto che – solo contando il periodo dalla fondazione al passaggio nelle mani dell’IRI – si tratta di settant’anni di attività.
Il Fondo Pellizzari rimane senza dubbio la fonte principale per qualsiasi ricerca sull’argomento, tuttavia non si può non condividere il giudizio espresso da Antonio Lora quando – nell’introduzione al recente volume edito dal Comitato Giacomo Pellizzari – afferma:
“Come è noto, la dura realtà della ricerca storica, sia per la vicenda di Antonio come per quella delle ‘mitiche’ Officine, cozza con la totale distruzione degli archivi e degli edifici della ‘Pellizzari’. Le uniche strade che rimangono (ma quanto?) aperte sono le metodiche ricerche presso enti, banche, acquirenti storici e quant’altri gruppi industriali e singoli privati che risultano aver stretto, a suo tempo, epistolari contatti. Un cammino a ritroso: lungo e indaginoso, incerto e frammentario”[10].
A voler seguire il suggerimento di Lora, quali possono essere gli archivi dove cercare? Le società commerciali, in particolare le società di capitali, producono nel corso della loro attività molti documenti a cui obbligatoriamente deve essere data pubblicità; sono cioè atti pubblici stilati e registrati nei repertori notarili quali per esempio: assemblee straordinarie, atti di fusione, scorporo o liquidazione, contratti di finanziamento ipotecari e altre operazioni di carattere straordinario. Tuttavia l’accessibilità degli archivi notarili – almeno finché essi non passano all’Archivio di Stato competente – è complessa e onerosa, perciò non facilmente percorribile a meno che non si abbia la certezza sul contenuto di un determinato documento[11]. Per quanto riguarda la ricerca presso archivi di altre aziende o istituzioni finanziarie, come abbiamo visto, fra le prime ben poche rendono disponibile il proprio archivio storico, fra le seconde, anche quando esiste un archivio storico accessibile, i documenti possono essere soggetti a vincoli temporali stabiliti per la libera consultazione. Una prima ricognizione presso l’Archivio Intesa Sanpaolo mi ha permesso di consultare una serie di documenti sulla Pellizzari, ma altri documenti “sensibili” concernenti il secondo dopoguerra non sono ancora disponibili perché il vincolo stabilito è di settant’anni[12].
Rimangono infine gli archivi sindacali, almeno per quanto mi riguarda, visto che una parte rilevante della mia ricerca è la storia del lavoro e delle relazioni sindacali alla Pellizzari. In questo caso non c’è di norma alcuna reticenza nel mostrare gli archivi, per loro natura le azioni sindacali sono votate alla pubblicità: si tratti di un accordo raggiunto, una denuncia sulle condizioni di lavoro o una presa di posizione su un determinato evento, l’organizzazione sindacale cerca di dare la massima pubblicità alle sue azioni per poter raccogliere nuove adesioni fra i lavoratori. Questo non esclude che non vi siano accordi o protocolli che vengono mantenuti segreti o documenti testimonianti lotte di potere intestine non edificanti che vengono nascosti, ma in linea generale i documenti sindacali sono di natura pubblica. Il problema semmai è che spesso sono stati distrutti o perduti per le stesse cause o ragioni che abbiamo visto negli archivi aziendali: trasferimento di sede, cambio di dirigenza, perché considerati superati, inutili e perciò distrutti per necessità di fare spazio.
Soltanto negli ultimi decenni si è affermata una certa sensibilità a conservare gli archivi delle attività sindacali. Bisognerà però verificare se tale sensibilità ha portato ad adottare un criterio di conservazione, almeno per la documentazione più recente.
Fortunatamente per quanto riguarda la Pellizzari/Simep il sindacato aziendale della Cgil ha depositato 3 fascicoli di documenti presso l’Archivio Luccini di Padova.[13] Non si tratta di un archivio completo, ma è una fonte molto importante visto che fino a metà degli anni Sessanta è stato il primo sindacato.
L’altra organizzazione sindacale che ha avuto un ruolo molto importante alla Pellizzari è stata la Cisl; recentemente sono entrato in contatto con Livio Bortoloso[14] che ha curato il trasferimento dell’archivio storico della Cisl vicentina dalla vecchia sede di Stradella Piancoli alla nuova grande sede di Via Carducci, ne ha ordinato i faldoni per argomento e redatto un elenco. Un grande lavoro di riordino, come egli stesso descrive:
“L’archivio cartaceo è relativo al periodo dal 1945 agli anni Ottanta e comprende 1310 scatoloni (faldoni) contenenti almeno 1500 fogli ciascuno, quasi tutti scritti a macchina o stampati tipograficamente. Si tratta di faldoni (cm. 26x33x37) che includono corrispondenza, documenti, volantini, giornali, accordi sulla contrattazione con aziende e istituzioni, verbali dei congressi e delle assemblee organizzative, copie dei periodici cislini ‘Cronache Sindacali’ e ‘Il Lavoratore Vicentino’. Tale documentazione, riguardante la Cgil unitaria, la Libera Cgil, la Cisl e le sue Federazioni di categoria, è suddivisa per decennio ma non per argomento.”[15]
Purtroppo, come mi ha raccontato nel corso del nostro incontro, pochi mesi dopo aver trasferito l’archivio nella nuova sede, c’è stata l’alluvione che ha colpito Vicenza nel 2010 e molti faldoni sono stati danneggiati dall’acqua che ha invaso i locali. Si è fatto tutto il possibile per il loro recupero ma una parte è stata persa. A una prima ricognizione, sotto la guida e con l’aiuto di Livio, sono riuscito a recuperare qualche copia di accordo aziendale e qualche altro documento interessante, ma conto si possa trovare dell’altro materiale.[16]
Per completare la ricerca sugli archivi sindacali, mi rimane ancora da verificare presso la Uil vicentina se esiste un archivio analogo e sto cercando di entrare in contatto.
[1] Giorgio Roverato, è stato professore di Storia Economica della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Originario di Valdagno, ha scritto molti saggi sulla Marzotto e sulla dinastia industriale valdagnese. Cfr. l’articolo di Roverato pubblicato in https://www.vvox.it/2017/09/05/valdagno-la-sua-storia-chiusa-nellarchivio-marzotto-apriamola/
[2] Per maggiori dettagli si veda il sito dell’archivio storico del gruppo bancario https://asisp.intesasanpaolo.com/intesa-web/
[3] Bloch Marc, Apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino, 1978, pagg. 77. Testo scritto da Bloch nel 1942 e pubblicato postumo nel 1949 (?) a cura di Lucien Febvre.
[4] Ibidem, pagg. 77-78
[5] Nori ha scritto diversi volumi ed articoli di storia locale, dei suoi scritti sull’argomento ricordiamo: Pellizzari di tre generazioni (1901-1958) al servizio del lavoro e della cultura nella patria Arzignano e nel vicentino, 1987, Arzignano; La Pellizzari nella storia (1901 – 1971), articolo pubblicato nella rivista Il Chiampo, n. 49, giugno 1972. Alla Pellizzari sono inoltre dedicate molte pagine della sua monumentale Storia di Arzignano (7 volumi) pubblicata fra il 1989 ed il 1997.
[6] L’Eletar fu la società veicolo controllata dall’Iri creata per gestire gli stabilimenti della Pellizzari all’indomani del fallimento del 1971; la Simep, anch’essa a controllo pubblico, venne costituita successivamente per la gestione del nuovo stabilimento che proseguì la produzione ex Pellizzari rimasta ad Arzignano.
[7] Ricevuta su carta intestata Gruppo Industriale Ercole Marelli Spa, firmata da Vittoriano Nori datata 22 giugno 1987 in Fondo Pellizzari, Cartella: Storia della Pellizzari e Lotte Sindacali – Schede da 99 a 108 -Documento 102, Biblioteca Civica Bedeschi di Arzignano.
[8] Ibidem, l’allegato alla ricevuta rilasciata da Nori conta 37 fascicoli, ma Nori ne ha in consegna soltanto 36 più altro materiale che descrive. Questo il testo della ricevuta scritta a mano da Nori: “Ritiro per conto del Comune di Arzignano (per l’archivio storico arzignanese della Biblioteca Civica) i raccoglitori – fotografie – documentaristiche, dal n. 1 al n. 37, escluso il n. 7 (martiri e caduti per la libertà) che andrò a recuperare presso l’ANPI di Montecchio Maggiore. Inoltre ritiro 5 attestati incorniciati relativi a Giacomo Pellizzari. Ritiro ancora: 3 grandi raccoglitori relativi alla Pubblicità Pellizzari. Con riserva di sentire il Mo. D. L. Giancarlo Dal Toso per altro eventuale materiale, come un raccoglitore delle pubblicazioni Pellizzari che manca dalla raccolta. Tengo a precisare che dai raccoglitori fotografici – documentaristici sono state tolte diverse documentazioni che comunque dovrebbero essere raccolte in una cartella che pure mi porto appresso. Grazie per la collaborazione anche a nome della comunità civile di Arzignano. Allegato 1 elenco fotostatato. Vittoriano Nori”
[9] In un recente colloquio il direttore della Biblioteca Civica Bedeschi di Arzignano, Paolo Povoleri, mi ha informato che nel novembre 2019 è riuscito a recuperare alcuni nastri di registrazione di verbali delle assemblee sociali e dei filmini dei funerali del fondatore Giacomo Pellizzari. Si tratta di materiale fortuitamente ritrovato negli archivi della Magneti Marelli (nuova denominazione della Ercole Marelli) e consegnato alla Biblioteca. Il dott. Povoleri, che ringrazio per l’informazione, conta che in prossimo futuro tale materiale possa essere trasferito in un supporto che lo renda fruibile.
[10] A. Lora con Vittorio Bolcato e Roberto Negri (a cura di), Gli anni d’oro della cultura di Arzignano. La scuola di Antonio Pellizzari 1951 – 1955, Comitato Giacomo Pellizzari, Arzignano, 2019, Introduzione p. 13. Il volume riproduce integralmente in forma anastatica tutti i numeri presenti presso la Biblioteca Civica Bedeschi di Arzignano del notiziario mensile de La Scuola di Arzignano, contribuendo così a salvare e diffondere dei documenti preziosissimi della vita culturale arzignanese degli anni Cinquanta. Il Comitato Giacomo Pellizzari di cui il Dr. Lora, medico e storico locale è uno dei più attivi rappresentanti - insieme ai nipoti di Giacomo Pellizzari: Roberto Negri e Giacomo Minuti ed altre figure del mondo imprenditoriale e culturale di Arzignano - è da molti anni impegnato nel promuovere studi sulle Officine e sulla famiglia Pellizzari. Oltre al volume qui citato, ha già al suo attivo una serie di pubblicazioni fra le quali ricordiamo: Giacomo Pellizzari il suo tempo, la sua gente del 2007 e Antonio Pellizzari (1923 – 1958) del 2009.
[11] Cfr. la pagina del Ministero di Giustizia a proposito della conservazione degli atti notarili, ultimo accesso del 27/02/2020, https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_2.page […] Gli atti che il notaio riceve vengono conservati nel suo studio fino a quando il notaio svolge la propria attività nel distretto notarile al quale è assegnato. […] Quando il notaio cessa definitivamente dall'esercizio ovvero si trasferisce in una sede di altro distretto notarile, gli atti, i repertori ed i registri che prima erano conservati nello studio del notaio, vengono depositati nell'archivio notarile del distretto ove lo stesso esercitava. Negli archivi notarili sono altresì conservate le copie degli atti pubblici e delle scritture private autenticate e gli atti privati originali, trasmessi dagli uffici del registro decorsi dieci anni dalla registrazione. Decorso un centennio dal deposito, tutti gli atti e i documenti conservati vengono versati, con cadenza decennale, negli archivi di Stato, i quali svolgono compiti generali di custodia delle fonti documentarie per fini storico-culturali. Chiunque debba richiedere la copia di un atto notarile stipulato da un notaio deceduto, cessato definitivamente dall'esercizio o trasferitosi in una sede di altro distretto notarile deve quindi recarsi presso l'Archivio notarile nel quale sono stati depositati gli atti del notaio.
[12] Ringrazio la D.ssa Barbara Costa, responsabile dell’Archivio Storico di Intesa Sanpaolo, il Dr. Guido Montanari e la D.ssa Rossella Laria dell’archivio di Milano e la D.ssa Matilde Capasso dell’archivio di Roma per la disponibilità e la collaborazione mostrata nel corso della ricognizione e confido nel loro aiuto per le future.
[13] Due fascicoli contengono preziosi documenti relativi al periodo che intendo esaminare. Si tratta di copie di accordi aziendali sottoscritti dall’immediato dopoguerra alla fine degli anni Settanta, elenchi di iscritti, contenziosi, e corrispondenza varia con le segreterie provinciali e nazionali, con le altre organizzazioni sindacali, con le controparti padronali ecc. Ringrazio il Dr. Mirko Romanato, direttore dell’Archivio Luccini per la grande disponibilità dimostrata nelle diverse occasioni.
[14] Il Dr. Bortoloso ha lavorato per 19 anni al Lanificio Rossi di Schio come apprendista, operaio ed impiegato. Da studente lavoratore ha conseguito la maturità e poi si è laureato in sociologia a Trento. In seguito ha lavorato alla Cisl vicentina per 35 anni. Ha pubblicato diversi saggi su questioni sindacali e storia del lavoro fra i quali ricordiamo: Impiegati e sindacato, Roma, Nuove Edizioni Operaie, 1976; I Biancorossi: un sistema di vita industriale. La storia e le prospettive politiche del Sindacato Tessili e Abbigliamento della provincia di Vicenza, Filta Cisl, Vicenza, 1980; Una scelta di contestazione e proposte. La Filta Cisl ed i fatti di Valdagno 1968-69, Filta Cisl, Vicenza, 1980
[15] Bortoloso Livio, Produttività con l’E.R.P. nelle P.M.I. vicentine, Itinera Progetti – Istrevi, Bassano del Grappa, 2017, p.17
[16] Ringrazio ancora Livio Bortoloso per la grande disponibilità e l’attenzione dimostrata nel corso del nostro incontro e spero che in futuro mi possa accompagnare in altre e, spero fruttuose, incursioni nell’archivio Cisl.
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