Working Class secolo XIX - XX - XXI |
Per il suicidio del profugo W.B.
Ho saputo che hai alzato la mano contro te stesso
prevenendo il macellaio.
Esule da otto anni, osservando l’ascesa del nemico,
spinto alla fine a un’invalicabile frontiera
hai valicato, dicono, una frontiera invalicabile.
Imperi crollano. I capibanda
incedono in veste di uomini di stato. I popoli
non si vedono più sotto le armature.
Così il futuro è nelle tenebre, e le forze del bene
sono deboli. Tutto questo hai veduto
quando hai distrutto il torturabile corpo
Bertolt Brecht
13 ottobre 2018, siamo arrivati a Portbou dalla frontiera francese. E’ un giorno strano, il tempo è variabile e quando arriviamo è il grigio delle nubi a dominare. Ci siamo fermati qui per visitare il Memoriale a Walter Benjamin realizzato per il cinquantenario della sua morte dall’ artista israeliano Dani Karavan ed inaugurato nel maggio 1994. Era da tempo che volevo venire qui a rendere omaggio ad un pensatore il cui concetto di storia mi ha sempre attratto.
Portbou è il primo paese della costa catalana. Se si arriva in treno dalla Francia è qui che bisogna scendere e cambiare treno se si vuole proseguire nella penisola iberica perché le rotaie hanno uno scartamento diverso.
Ed è qui che ha trovato la morte Walter Benjamin, morto suicida per la disperazione.
Nel 1933, dopo la presa del potere di Hitler, Benjamin e la sorella Dora fuggono per evitare la sorte toccata al fratello Georg, finito in un campo di concentramento poco dopo l’avvento del nazismo (Georg morirà a Mauthausen nel 1942). Dopo l’occupazione tedesca della Francia nel 1940 Benjamin deve fuggire, Max Horkheimer gli ha procurato il visto per gli Stati Uniti ed aveva anche i documenti di transito per la Spagna ed il Portogallo dove conta di imbarcarsi per l’America. Là lo attendono Theodor Adorno e Max Horkheimer. Il problema è riuscire a raggiungere la Spagna senza essere intercettati dalla polizia francese che lo avrebbe consegnato alla Gestapo. Accompagnato da Lisa Fittko, una militante ebrea ucraina che lavora per le associazioni sindacali americane aiutando la gente a fuggire, raggiunge Portbou insieme a Henny Gurland e suo figlio Joseph attraverso un sentiero di montagna utilizzato dai contrabbandieri. Walter Benjamin è fisicamente provato, soffre di cuore e d’asma e l’ultima fatica lo lascia sofferente. Arrivati a Portbou la guardiacivilcomunica al gruppetto di profughi che il loro lasciapassare non è più valido, che sono cambiate le disposizioni e che devono riaccompagnarli alla frontiera e consegnarli alla polizia francese. Tuttavia, vedendo lo stato di prostrazione fisica del gruppetto rinviano all’indomani il riaccompagnamento alla frontiera e vengono alloggiati in una pensione. Preso dalla disperazione dell’inutilità del viaggio intrapreso, con la prospettiva di essere consegnato alla Gestapo, “nella piccola stanza all’interno della pensione Benjamin scrisse un ultimo biglietto: […] ‘Al momento del pericolo estremo, cui non è possibile strappare nessuna dilazione – e dunque nessuna speranza -, a questo momento io vado incontro con una risoluzione esistenziale’ “(Uwe-Karsten Heye, I Benjamin. Una famiglia tedesca, Sellerio, 2015, p. 98).
Il nome del Memoriale è Pasatges/Pasajes, vale a dire Passaggi e si trova vicino all’ingresso del cimitero dove è stato sepolto Benjamin. All’esterno è come una porta di accesso ad una miniera, entri ed una gradinata scende ripidamente verso gli scogli ed il mare: via di fuga verso l’ignoto. Verso nuovi lidi o verso la fine? Fra quelli che ho visitato, sono pochi i monumenti alla memoria che mi hanno trasmesso un’emozione forte fino ad ora: il Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa a Berlino, il Memoriale alle vittime dell’11 settembre 2001 a New York e il Memoriale a Walter Benjamin.
Credo che il comune denominatore sia la loro semplicità, è l’antiretorica a renderli simili. E forse proprio per questo invitano alla riflessione più di altri monumenti. Il Memoriale di Portbou non ricorda soltanto il grande intellettuale tedesco, ma tutti quelli che – perseguitati – hanno cercato un passaggio, una via di fuga. E tutti coloro che nel cercarla hanno perso la speranza ed hanno mollato.
Ed il pensiero va all’Europa ed al mondo di oggi, alle frontiere che dappertutto si chiudono indiscriminatamente, al razzismo ed all’intolleranza che son tornati ad alzare la voce.
Sulla vicenda di Walter Benjamin invito alla lettura del libro sopra citato di Uwe-Karsten Heye dal quale ho tratto anche l’epitaffio scritto da Bertolt Brecht ed ancora una volta il romanzo di Bruno Arpaia, L’angelo della storia, Guanda, 2001
Hai avuto proprio una bella idea, caro Walter. Seguirò il tuo blog e prenderò nota delle tue indicazioni e ricerche. Cari saluti, Ruggero.
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