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Working Class secolo XIX - XX - XXI |
A proposito della IX Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, un articolo di David Bidussa.
Il mio interesse per
l’Angelo della Storia di Walter Benjamin non è recente,
sistemando le carte ho recuperato un articolo di David Bidussa
pubblicato mercoledì 27 agosto 2003 da il Manifesto che avevo
conservato e che ora ripropongo.
Walter Benjamin e il suo
angelo. Uno sguardo all’indietro che non si presenta solo come
nostalgia o ispirazione di un futuro possibile. Ripensare il nostro
rapporto con la storia vuol dire anche riconsiderare, nel presente,
quelle possibilità che nel passato sono state interrotte.
Impossessarsene, trasformarle in atto politico. Le «Tesi di
filosofia della storia» sono state pubblicate nel 1942, ma l’angelo
di Benjamin continua a guardare indietro perché il passato non è
passato e i suoi orrori possono nuovamente ripresentarsi.
David Bidussa: Uno sguardo senza nostalgia.
La IX delle Tesi di
filosofia della storia di Walter Benjamin (quella in cui egli
accenna alla figura dell'angelo della storia e al suo guardare
«indietro») è forse il luogo letterario e metaforico più
visitato dalla critica e anche il testo che simbolicamente ha segnato
la «scoperta» di Benjamin negli ultimi trent'anni.
Pubblicate per la prima
volta nel 1942, solo a metà degli anni '70 le Tesi iniziano
ad essere valutate come un testo normativo e non più solo «oscuro»
o «intrigante». Sono Giulio Schiavoni, Fabrizio Desideri Franco
Bella e Enzo Rutigliano (rispettivamente: Walter Benjamin.
Sopravvivere alla cultura, Sellerio; Walter Benjamin il tempo
e le forme, Editori riuniti; Il silenzio e le parole,
Feltrinelli; Lo sguardo dell'angelo, Dedalo) ad aprire una
nuova stagione della critica e a fare delle Tesi un testo
esemplare del legame inquieto tra individuo e storia. Un tema su cui,
da allora, molti sono tornati proprio riflettendo sulla figura
dell'angelo, da Massimo Cacciari (L'angelo necessario,
Adelphi) a Stéphane Moses (La storia e il suo angelo,
Anabasi) a Michel Loewy (Redenzione e utopia, Bollati
Boringhieri).
A monte di quel cambio di
registro si colloca la crisi dello storicismo, la fine dell'idea che
la storia sia uno «sgomitolamento lineare», la percezione nella
sinistra che il materialismo storico non sia solo una filosofia della
certezza proiettata verso l'avvenire.
Tuttavia anche così, la
pregnanza delle sollecitazioni proposte nelle Tesi resta vaga,
sospesa tra una metafora accattivante, in cui la crisi celebra se
stessa come nuova metafisica della storia, e il rischio di una
riscrittura complessiva di una filosofia della storia che per quanto
critica alla fine fonda solo la retorica della sua enunciazione, ma
si priva di una qualsiasi ipotesi di lettura critica.
Al centro di quelle
pagine non risiede solo la Critica allo storicismo, ma anche
l'analisi critica del ruolo dello storico e la confutazione di quel
suo presunto oggettivismo indotto dall'uso acritico delle fonti e dei
documenti a cui troppo spesso surrettiziamente si ritiene di
riscrivere oggettivamente la storia, ovvero di scrivere la storia
com' «è andata davvero». Perché l'angelo della storia guarda
indietro?
Proviamo allora a
riprendere in mano il testo della tesi IX e a sondarlo da un
differente angolo prospettico (riprendo il testo da Walter Benjamin,
Sul concetto di storia, a cura di Gianfranco Bonola e Michele
Banchetti, Einaudi 1997, che costituisce l'edizione critica più
articolata e documentata del testo delle Tesi e da cui
riprenderò più avanti anche le citazioni dai materiali preparatori
per la loro stesura).
«C'è un quadro di Klee
- scrive Benjamin – che si chiama Angelus novus. Vi è
rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi di
qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la
bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L'angelo della storia deve
avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti
a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede
un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e
le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi: destare i
morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera
che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l'angelo
non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente
nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo
il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che chiamiamo progresso,
è questa bufera.»
Prevalentemente
l'attenzione è stata rivolta al quadro di Klee, ai temi di carattere
messianico o mistico o cabalistico, al rapporto tra visione
messianica della redenzione e dimensione utopica della storia, alla
visione antistoricistica della storia. Al centro si colloca
l'immagine complessiva dell'angelo, l'accumulo delle macerie ai suoi
piedi, la bufera, la visione della catastrofe. Tutti aspetti che in
qualche modo hanno fatto convergere la riflessione di Benjamin con
quella di Scholem, una riflessione che ha un tema comune e punti di
divergenza.
li tema è la
conciliazione tra attesa ed evento, tra investimento sul farsi della
storia e delusione del suo accadere. Diversamente: tra risorse
interiori e fattualità storica.
Una lettura della e sulla
storia che entrambi riversano sulla storia e sul vissuto ebraico e
che allude (al di là dell'esperienza ebraica nella storia) a una
possibile interpretazione rinnovata del «vissuto mistico» e del
vissuto utopico.
Per Scholem il problema è
la possibilità che la trasgressione renda possibile in una
condizione di catastrofe la redenzione e dunque l'inaugurazione di
una qualche ipotesi messianica. Per Scholem guardare indietro
significa cogliere il nesso tra catastrofe e redenzione e dunque
permettere l'individuazione del principio di catastrofe come luogo
generativo di una nuova identità (è questo in breve il nucleo
fondativo di tutta la sua ricerca sul nichilismo religioso che egli
disegna nel primo saggio dedicato a questo tema che costituisce il
primo nucleo del Sabbatay Sevi, Einaudi, l'opera di una vita).
Per Benjamin, l'ipotesi
della redenzione non produce automatismi o possibilità ché si
originano dalla catastrofe ma nasce nella possibilità di guardare al
presente attraverso le risorse sconfitte o bloccate da un passato che
si propone come strumento, di replica. Il futuro non è dato, non è
lineare né è sviluppo progressivo.
Lo sguardo indietro
dell'angelo, così, richiama non solo il principio della catastrofe
come macchina generativa, ma è proprio la dimensione della
catastrofe ad avere altro valore e altro significato nell'ambito
della sua riflessione.
L'angelo della storia si
potrebbe dire è obbligatoriamente rivolto al passato, proprio perché
per fondare futuro è necessario impossessarsi del passato. E' un
dato meccanico ed entro certi aspetti anche scontato.
E tuttavia in questo
volgersi indietro non risiede una domanda di sapere. Si guarda al
passato - e dunque indietro - per impossessarsi del passato. E
occorre possedere il passato per usarlo. «Lo storico è un
profeta rivolto all'indietro», aveva scritto Benjamin nel 1917
(Walter Benjamin, Metafisica della gioventù, Einaudi).
E riprendendo le stesse
parole nelle note preparatorie alle Tesi, prosegue: «Egli
volta le spalle al proprio tempo; il suo sguardo di veggente si
accende davanti alle vette degli eventi precedenti che svaniscono nel
crepuscolo del passato. E' a questo sguardo di veggente che il
proprio tempo è più chiaramente presente di quanto non lo sia ai
contemporanei che «tengono» il passo con lui».
Una notazione che per
certi aspetti allude a quanto Lucien Febvre aveva detto nel corso
della sua lezione inaugurale al College de France («L'uomo non si
ricorda del passato: lo ricostruisce. (...) Ma muove dal presente, e
solo attraverso il presente, sempre, conosce, interpreta il passato»
(L. Febvre, Problemi di metodo storico, Einaudi).
Ma questo primo livello
apre verso una diversa lettura. Rievocando una sua radicata
convinzione Benjamin scrive, a metà degli anni '30, nelle sue note
su Parigi: «L'elemento distruttivo o critico della storiografia si
esplica nello scardinare la continuità storica. La storiografia
autentica non sceglie il suo oggetto a man leggera. Non lo afferra,
lo estrae a forza dal decorso storico. Questo elemento distruttivo
nella storiografia va concepito come reazione a una costellazione di
pericoli che minacciano tanto il contenuto della tradizione quanto il
suo destinatario. Contro questa costellazione di pericoli muove la
storiografia: sta ad essa dar prova della sua presenza di spirito.
In questa costellazione di pericoli l'immagine dialettica guizza
fulmineamente. Tale immagine è identica all'oggetto storico; essa
giustifica lo scardinamento del continuum». (Walter Benjamin,
Parigi capitale del XIX secolo, Einaudi).
Lo sguardo indietro
dell'angelo non si presenta solo come «nostalgia» o come
ispirazione per un possibile futuro diverso - per un futuro anteriore
-, ma come segno di un diverso modo di concepire la storia. Al centro
del rapporto con la storia non sta un dato gnoseologico (ovvero
«conoscere la storia»), ma connettere al presente le possibilità
interrotte nel passato e riammetterle come strumenti per un futuro
possibile. In questa seconda ipotesi conoscere la storia è
«impossessarsi del passato», ovvero saperlo tradurre in atto
politico. In questo senso riscattarlo.
Nel linguaggio di
Benjamin l'espressione «impossessarsi del passato», implica una
doppia operazione. La prima è quella che essenzialmente è rivolta
alla riscoperta di una dimensione «dimenticata», «nascosta» o
comunque «sopita» del passato. La storia in questo senso è anche
una «contro-storia».
Ma «impossessarsi del
passato» implica saper cogliere ciò che in questo presente si rende
immediato, necessario e anche scardinante del possibile recupero di
«quel passato». Non ciò che del passato è utilizzabile nel
presente come «antidoto», ma ciò che nel passato si propone come
oppositivo a questo presente.
Negli appunti per la
stesura delle Tesi scrive Benjamin: «Non è che il passato
getti la sua luce sul presente o che il presente getti la sua luce
sul passato: l'immagine è piuttosto ciò in cui il passato viene a
convergere con il presente in una costellazione. L'immagine del
passato che balena nell'adesso della sua conoscibilità - ovvero di
un passato che non è morto - è, secondo le sue determinazioni
ulteriori, un'immagine del ricordo. Assomiglia alle immagini del
proprio passato che si presentano alla mente degli uomini nell'attimo
del pericolo. Queste immagini, come si sa, vengono involontariamente.
La storia, in senso rigoroso, è dunque un'immagine che viene dalla
rammemorazione involontaria, un'immagine che s'impone improvvisamente
al soggetto della storia nell'attimo del pericolo.»
Tuttavia nel processo di
rammemorazione non sta tanto una dimensione salvifica del ricordo,
quanto una possibile contromossa. La rammemorazione - e dunque
la riemersione da una precedente condizione di oblio – non implica
la riattivazione di un ricordo e dunque non richiama la funzione
della memoria. Si fonda su un processo attivo, non rievocativo. La
rammemorazione si accredita perciò come la fonte da cui proviene la
storia.
Guardare indietro
implica, così, ritrovare quelle circostanze che permettono di
recuperare ciò che si è interrotto nella storia, e dunque di
rimetterlo tra le cose che consentono un diverso sviluppo del
presente e dunque una chance di diverso futuro.
«Marx - scrive Benjamin
negli appunti per la stesura delle Tesi - dice che le
rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le
cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il
ricorso al freno d'emergenza da parte del genere umano in viaggio su
questo treno». La rivoluzione, cosi, è contemporaneamente la
rottura del continuum storico e la sua possibile inversione.
In altre parole le rivoluzioni sono l'interruzione del processo
lineare della storia, o meglio il non-momento della
storia.
Ma questo significato non
è proprio solo della «rivoluzione», ovvero del processo di
rovesciamento di potere, evento straordinario che interviene sulla
linearità temporale inaugurando un «nuovo tempo». Più
generalmente esso allude a qualsiasi gesto - o a un insieme di atti
-che renda impossibile la ripetizione e la prosecuzione nel tempo
indefinito di un sistema dato di potere e di oppressione.
Aspetto che impone un
diverso approccio -o almeno un approccio maggiormente articolato -
intorno alla riflessione sui «giusti» (certamente più problematico
di quanto non sia stato proposto da Todorov nel corso degli anni '90;
per tutti si veda Tentazione del bene, tentazioni del male,
Garzanti).
Si potrebbe osservare più
generalmente come tutta la riflessione concernente i «giusti»,
ovvero la possibilità che in condizione di oppressione totalitaria
si dia replica e risposta diversa da quella statuita e prevista dal
sistema sia collocabile all'interno di questa riflessione. Un gesto
che è reso possibile dal fatto di evocare e proporre un diverso modo
di spiegare e fondare il presente.
In questo senso il
concetto di «giusto» o di «banalità del bene» se colto come
«sguardo indietro» dell'angelo della storia ha un valore non
riducibile a quello etico o caritativo con cui di solito si è pronti
ad accogliere quell'atto. In altre parole, quell'atto è tale in
relazione all'effetto di «blocco del processo lineare», di pietra
d'inciampo dentro il carattere lineare del farsi della storia che
si accredita come l'alleato «naturale» degli oppressori.
Ma all'interno di questa
vicenda non risiede solo la contingenza dell'atto o la sua
imperscrutabilità. «L'omaggio di una cipollina», ovvero privarsi
di un qualcosa di completamente superfluo, non è sufficiente perché
possa prodursi un gesto altruistico, comunque rovesciato rispetto
alla norma vigente. Lo sguardo indietro dell'angelo dunque suggerisce
ancora una cosa diversa. Dice che solo dal ricordo dell'oppressione
e delle umiliazioni vissute e provate nel passato, si può produrre
una forza capace di invertire o rovesciare la logica imperativa del
presente. In altre parole, l'angelo della storia guarda indietro - e
si rivolge al passato - perché il passato non è passato,
perché tutti gli orrori del passato che possiamo anche ritenere
lontani e superati, comunque collocati dietro di noi, hanno sempre la
possibilità dì ripresentarsi.
Lo
sguardo indietro dell'angelo costituisce, allora, un possibile
principio per una diversa dimensione della convinzione e della
retorica politica. Nella lotta politica, la forza, la capacità
persuasiva, sono state riconosciute nel mito politico, nella capacità
di proiezione sul futuro e nella prefigurazione di scenari armonici
di radiosi domani. Forse la pratica di quello sguardo indietro - per
quanto spesso intesa come rifondazione del mito politico utopico -
andrà colta come capacità operativa e riflessiva della memoria,
ovvero come la possibilità che si mediti sul passato per evitare una
sua ripetizione.
In questo conto con la
storia, in questo «corpo a corpo» col passato, tuttavia, viene a
decadere una funzione che tradizionalmente le grandi collettività
nazionali e i gruppi comunitari hanno affidato alla storia come
fissazione di un calendario civile e come narrazione della propria
origine.
La funzione assegnata
alla storia a partire dalla costruzione dei grandi sistemi nazionali
è stata quella di fondare il criterio di identità. Ovvero ad essa è
stato affidato il compito di definire l'essenza di sé. In breve la
costruzione del kit simboli e gesti per rispondere alla domanda «Chi
sono?» Riconsiderare il passato non in relazione a ciò che si è o
in relazione a una metafisica dell'identità ma in funzione a ciò
che si è fatto, implica scegliere la storia come luogo in cui non si
aderisce a una formula, ma si rimedita su ciò che è accaduto e si
agisce per un esito diverso non garantito da alcuna metafisica, né
automatico.
Non c'è alcun futuro
salvifico nella riflessione sulla storia e sul passato, ma solo la
possibilità di inventare e- trovare nuove vie per non uscire
nuovamente sconfitti. Lo sguardo al passato senza nostalgia alla fine
allude a questa possibilità.